GRINDHOUSE PLANET TERROR
DI FRANCESCO MININNI
Il fatto che giornali e riviste, quasi unanimemente, abbiano decretato che «Planet Terror» di Robert Rodriguez, seconda parte (o prima, stando all’ordine di montaggio) del progetto «Grindhouse» di Quentin Tarantino, lascia leggere in filigrana, al di là di effetti speciali, fracasso e zombi caracollanti, l’atmosfera che si respira in America (forse nel mondo) dopo l’11 settembre 2001 e getta addirittura uno sguardo inquietante sul nostro futuro anche prossimo, ci lascia un po’ indifferenti e un po’ attoniti. È un fatto che Tarantino e Rodriguez, casomai fossero sociologi o indagatori del presente, lo sarebbero soltanto di rimbalzo, in quanto vivendo in quest’epoca non possono che esserne impregnati e quindi capaci, anche involontariamente, di restituirne gli umori. Ma da qui a tesserne le lodi come consapevoli «grilli parlanti» ce ne corre.
È bravo Rodriguez a creare una sorta di dietrologia che permetta poi a chiunque sia interessato di interpretare «Planet Terror» come un baraccone politicamente scorretto. Si ipotizza infatti che un ufficiale intraprendente sia riuscito a scovare Bin Laden e ad ucciderlo. Il governo americano, però, trovandosi improvvisamente privato dello spauracchio che serviva a cementare il consenso della popolazione, lo ricompensa con un gas letale che trasforma l’America in un campo di battaglia anomalo. Da una parte l’esercito (o quel che ne rimane), dall’altra mostri urlanti capaci di spargere il contagio con un morso. E chi dovrà salvare il mondo? Una ballerina lesbica, un messicano autista di un carro attrezzi, un medico che non può usare le mani. Da qui si deduce che la sopravvivenza del genere umano dovrebbe essere affidata a dei reietti in piena regola.
Si invoca l’ironia. Ma l’ironia è un’arma sottile che spesso si manifesta nei mezzitoni, mentre «Planet Terror» è un fracasso praticamente ininterrotto dove si fatica a trovare il tempo per pensare. Si mettono in campo partecipazioni speciali: Bruce Willis con la divisa militare, Tom Savini che soccombe ai propri effetti speciali, lo stesso Quentin Tarantino cui è riservata una morte particolarmente repellente. E, più di tutto, ci si dimentica di un precedente che dovrebbe dare il colpo di grazia ad ogni follia interpretativa. Se «Planet Terror» parla di un’invasione di morti viventi, di una classe dirigente troppo interessata al proprio tornaconto e poco al benessere generale, di un manipolo di coraggiosi che arrivano direttamente dalle classi meno abbienti e di tanta gente che, bene o male, cerca un posto dove vivere, ci pare strano che tutti si scomodino a citare Roger Corman, John Carpenter, Jonathan Demme o Tom Savini dimenticando che, appena due anni fa, George Romero ha realizzato «La terra dei morti viventi», che parlava degli stessi argomenti e proponeva qualche personaggio molto simile a quelli di Rodriguez. Con una piccola differenza: mentre Rodriguez conduce le danze aggirandosi tra le macerie del mondo con la grazia di un elefante in una cristalleria, Romero era capace di soffermarsi a riflettere per arrivare a conclusioni sensate. La differenza, per così dire, fa la differenza: «Planet Terror» non sembra particolarmente interessato al problema dell’annientamento del genere umano, quanto piuttosto alla sua più sfrenata trasformazione in un fumetto splatter. Da cui il dubbio di sempre: ma che ci sarà di divertente in una testa tagliata, una pustola pulsante o un barbecue umano? Noi non lo sappiamo.
GRINDHOUSE PLANET TERROR (Id.) di Robert Rodriguez. Con Freddy Rodriguez, Rose McGowan, Josh Brolin, Marley Shelton. USA 2007; Horror; Colore