GIULIA NON ESCE LA SERA
DI FRANCESCO MININNI
E’ gente comune, quella raccontata da Giuseppe Piccioni (lo ribadiamo con convinzione: uno dei registi più interessanti del cinema italiano contemporaneo). Ma l’autore, un po’ per impeto poetico, un po’ per vocazione di commediante, ama oltrepassare spesso il confine del realismo per addentrarsi in terreni simbolici e surreali, di modo che gli ordinari problemi dei suoi personaggi diventano in certo qual modo eccezionali. Ciò si ripropone puntualmente in «Giulia non esce la sera». La storia, dovessimo raccontarla come fosse un reportage, sarebbe quella di Guido Montani, uno scrittore irrequieto e scontento che sembra trovare nuovi stimoli (che il matrimonio non è più in grado di dargli) nell’incontro con Giulia, istruttrice di nuoto. Giulia, però, non esce la sera. E non lo fa perché sta scontando una condanna per omicidio godendo di un regime di semilibertà. Ognuno ha i propri problemi: vena inaridita, rapporti con i familiari, una famiglia abbandonata e piena di rancore, appuntamenti pubblici poco graditi. Ma Guido, che forse si crede normale e quindi in grado di capire ed aiutare, in realtà continua a comportarsi da scrittore vedendo la realtà attraverso il filtro del proprio mestiere. Da questo aiuto Giulia non potrà trarre alcun giovamento.
Diciamo che qui si ferma il dato realistico. Il grosso intervento stilistico Piccioni lo effettua materializzando i personaggi immaginati da Guido (l’uomo senza ombrello, il sacerdote in crisi, la ragazza degli ombrelli) e inserendoli nel racconto come testimoni degli avvenimenti. Di più: accade anche che Guido veda un ombrello rosso sul fondo della piscina, come se il proprio immaginario si fosse materializzato nel reale.
Questo conduce il film su un piano altamente simbolico, ora pirandelliano ora colorato delle tonalità del sogno. E, dal momento in cui Guido comincia a scrivere di Giulia, conduce lo spettatore a una domanda ricca di implicazioni: se cioè tutto quel che Giulia fa da quel momento in poi appartenga alla vita reale o alla fantasia di uno scrittore. È evidente, a questo punto, che «Giulia non esce la sera» non è un film che si possa liquidare con frasi fatte o giudizi lapidari. Il taglio dato da Piccioni al racconto, la fotografia di Luca Bigazzi, la musica dei Baustelle intercalata da una singolare scelta di belle canzoni popolari («Mani bucate» di Sergio Endrigo, «J’entend siffler le train» di Richard Anthony, «Il mio mondo» di Umberto Bindi e Gino Paoli) e le interpretazioni sommesse, minimaliste di Valerio Mastandrea e Valeria Golino concorrono a creare un film di atmosfere che richiede un’attenzione superiore alla media.
È giusto, ad esempio, rilevare come Benedetta, la moglie di Guido, sia un personaggio vago del quale non conosciamo neppure l’attività. Ma è anche giusto darsi una risposta: dal momento che tutto ciò che accade nel film è filtrato dall’occhio di Guido, vuol dire che Benedetta non rientra nel quadro d’insieme. A lui non interessa. Ecco quindi che ad intervenire attivamente nel film sono soltanto Giulia, sua figlia Viola, la figlia di Guido (Costanza) e il suo ragazzo Filippo. Oltre, naturalmente, all’uomo senza ombrello, alla ragazza degli ombrelli e al sacerdote in crisi. Persone (o personaggi) che rientrano nel suo campo visivo. Anzi, non fosse per la presenza degli adolescenti si potrebbe dire che «Giulia non esce la sera» sia il film più pessimista di Piccioni. Che invece, dopo aver preso atto dei diversi fallimenti della propria generazione, affida ogni speranza a questi strani ragazzi che ascoltano musica (vera), leggono Kafka e hanno ancora voglia di provare a vivere.
GIULIA NON ESCE LA SERA di Giuseppe Piccioni. Con Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sonia Bergamasco, Piera Degli Esposti. ITALIA 2009; Drammatico; Colore