GIÙ AL NORD

di Francesco Mininni

Vale la pena interrogarsi sulle ragioni dello straordinario successo dell’outsider Dany Boon, che con «Giù al Nord» non è diventato soltanto il più gettonato nella storia del cinema francese, ma si sta avviando a ripetere il medesimo risultato anche oltre confine. Vale la pena perché «Giù al Nord» è una commedia, semplice e lineare, di una spontaneità non costruita ma autentica, capace di lanciare messaggi di accoglienza, solidarietà, riscoperta dei valori senza per questo impelagarsi in seriose disquisizioni socio-politiche ma usando nient’altro che le armi del sorriso e, perché no, della farsa. Che non vuol dire sguaiataggine, volgarità e doppi sensi in quantità industriale. Con «Giù al Nord» Dany Boon ci dimostra che far ridere e lasciare qualcosa dentro è ancora possibile. E la cosa importante è che il pubblico, mondiale e non soltanto francese, sembra averlo capito e gradito, quindi premiato con un successo che, davvero, va oltre ogni possibile previsione.

Per comprendere le vicende del film bisogna sapere che in Francia le battute razziste e le prevenzioni culturali non si indirizzano, come in Italia, verso il Sud, che anzi (Costa Azzurra e dintorni) è il meglio come clima e condizioni di vita, ma verso il Nord, nella zona di Lille, specialmente nella regione del Pas de Calais. Qui si immagina che ci sia sempre un clima freddissimo, una prevalenza di buio e una popolazione scorbutica, poco socievole e di grana veramente grossa. Si può immaginare, pertanto, la disperazione di Philippe, direttore di un ufficio postale in Provenza, quando, invece dell’agognato trasferimento al Sud si ritrova sbattuto per motivi disciplinari proprio al Nord Pas de Calais. Ma non ci vorrà molto per capire come le dicerie siano soltanto tali. A Bergues il postino Antoine e tutti i colleghi dell’ufficio postale gli faranno capire che l’umanità abita ovunque e anche al Nord le braccia aperte hanno lo stesso significato che a Parigi o in Costa Azzurra.

Dany Boon, originario di quella regione, con padre algerino e madre ch’timi, è cresciuto alla scuola della commedia francese classica (Gerard Oury e i suoi «Tre uomini in fuga», ad esempio) partecipando in prima persona a «Una top model nel mio letto» di Francis Veber. La sua indole di allegro compagnone, quindi, si è andata a mescolare con elementi razziali e culturali che lo hanno portato a concepire e realizzare un film che da una parte difende a spada tratta l’identità culturale di un luogo, dall’altra rivela una totale apertura a «interventi esterni» e soprattutto non perde mai la fiducia nell’umanità e la consapevolezza che un sorriso o una risata possono essere un’ottima terapia per vivere meglio. Bisogna ringraziarlo, questo ragazzone sorridente e molto più intelligente di quanto un’occhiata superficiale potrebbe far pensare. Perché in tempi di depressione culturale e massificazione globale, ha avuto il coraggio di andare controcorrente raccontando una storia sua, raccontandola come sa, senza complicazioni o intellettualismi, e riuscendo così ad arrivare al cuore della gente. Che a quanto pare aveva proprio bisogno di una comicità ripulita di ogni volgarità, ma ugualmente diretta, coinvolgente e sorretta unicamente dalla forza della semplicità. E per una volta bisogna render merito anche a un settore talvolta capace di misfatti. Le differenze tra il francese di Provenza e quello di Bergues al pubblico d’Oltralpe giungono immediate. Ma con il pubblico italiano era necessario un attento lavoro di doppiaggio per ottenere lo stesso risultato senza scadere nella barzelletta dei dialetti milanese, siciliano o pugliese. E l’invenzione dell’idioma locale che trasforma sciacalli in schiacalli e (con rispetto parlando) culo in ciulo, è davvero irresistibile.

GIÙ AL NORD (Bienvenue chez les Ch’tis) di Dany Boon. Con Dany Boon, Kad Merad, Zoé Félix, Philippe Duquesne, Line Renaud, Michel Galabru. FRANCIA 2008; Commedia; Colore