Giochi generazionali senza frontiere: «DILLO CON PAROLE MIE»
Inattivo da cinque anni, dall’insuccesso de «I piccoli maestri», Daniele Luchetti si ripropone con un film per lui assolutamente insolito: una commedia un po’ generazionale, un po’ vacanziera, ma soprattutto disimpegnata. Così, chi ricorda le commedie riflessive come «La settimana della sfinge», «Il portaborse» e «La scuola», si trova spiazzato. Al punto da porsi una domanda: che Luchetti sia stato improvvisamente colto da un attacco di vanzinite acuta?
In effetti il film, ideato e scritto da Stefania Montorsi (che di Luchetti è compagna nonchè madre di suo figlio), va incontro a qualche rischio dovuto a mode, banalità e leggerezza che si trasforma in mancanza di profondità, al punto da non far risaltare alcuni tocchi di stile che in altro contesto avrebbero fatto la differenza. Il punto è che, parlando di individui di differenti generazioni in vacanza in un luogo balneare qualsiasi, è sempre più difficile andare al di là del quadretto da spiaggia. E, quando Luchetti dice di essersi ispirato a certe commedie francesi, è proprio impossibile pensare, come lui vorrebbe, a Rohmer: più facile ripiegare sulle commedie vacanziere di Michel Lang e Pascal Thomas.
Martina, quattordicenne romana, sogna una vacanza da sola. Ma i paletti posti dalla famiglia la costringono a viaggiare con la zia Stefania, una trentenne fresca di separazione. Sull’isoletta greca di Ios, la cosiddetta «isola dell’amore», Martina ha un solo obiettivo: perdere la verginità, che a quanto pare è diventata un fardello insostenibile. Così, mentre Stefania è corteggiata da un adolescente, la ragazzina si innamora proprio di Andrea, l’ex della zia. Le cose, ovviamente, non andranno secondo i piani… Se Daniele Luchetti avesse detto che «Dillo con parole mie», pur non essendo un film esattamente nelle sue corde, gli era indispensabile per rientrare nel giro dopo un insuccesso bruciante, lo avremmo capito: una maniera come un’altra di riprendere confidenza con la macchina da presa in attesa di un progetto più importante.
Così, invece, si fatica a percepire quella che dovrebbe essere la regina della storia, cioè l’ironia, e si finisce per credere che tutto ciò che vediamo corrisponda a una realtà affrontata senza spessore critico e, oltre tutto, senza i tempi comici giusti. Zia e nipote, che non fanno altro che parlare, ripropongono senza spunti realmente originali un conflitto generazionale che appartiene alla storia della commedia italiana e mondiale. E quando Luchetti piazza un colpo vincente facendo ritrovare Andrea e Stefania al suono di una vecchia canzone di Mina, è troppo tardi per accorgersi che forse «Dillo con parole mie» aveva qualche potenzialità inespressa e che dietro la macchina da presa c’era un regista che (intendiamoci: come tutti noi) può dare di più.