GIALLO

DI FRANCESCO MININNI

La distribuzione Lumière Group Multimediale è evidentemente indipendente, quindi priva di potere di mercato. «Giallo» di Dario Argento è stato girato nel 2008, era pronto per la distribuzione nel 2009, è stato editato in DVD nel 2010 e adesso, in piena estate 2011, trova una fugace sortita nelle sale (non sappiamo quante) esibendo un manifesto su cui spicca il titolo «Giallo/Argento». Sembra che il protagonista Adrien Brody, coinvolto anche come coproduttore del film, abbia intentato una causa all’autore per compensi non ricevuti.

Già da queste poche notizie ce ne sarebbe, come si dice a Firenze, da dare e da serbare. Ovverosia, ci sono tutte le condizioni per fare di questo film una cosa a scelta tra queste due: un film maledetto che sparge intorno a sé un’aura di mistero, oppure un flop annunciato perfettamente in linea con l’inarrestabile declino dell’autore. Purtroppo l’ipotesi giusta è la seconda. In novanta minuti girati così così, interpretati a braccio, privi delle caratteristiche basilari sulle quali poggia il cinema di Argento, lontani da atmosfere di tensione, accostamenti insoliti di suoni e colori, dettagli clamorosamente esagerati che allontanino il tutto da ogni sospetto di realtà, resta soltanto un’idea che, forse, meritava miglior sorte.

Il fatto, cioè, che il commissario Enzo Avolfi e il serial killer Flavio Volpe siano interpretati dallo stesso attore. Adrien Brody è Avolfi, Byron Deidra è Volpe (cioè Giallo). Un esame più attento rivelerà che Byron Deidra è l’anagramma di Adrien Brody. Si viene a creare così una sorta di gioco di specchi tra l’assassino e il suo cacciatore, soprattutto perché siamo informati di due ulteriori notizie: Volpe è Giallo perché sofferente di epatite B da sempre, quindi emarginato e sbeffeggiato al punto da trasformare la propria bruttezza in un’offesa da lavare nel sangue; Avolfi, invece, è diventato poliziotto dopo aver massacrato a coltellate il macellaio che uccise sua madre sotto i suoi occhi. Due soggetti problematici che hanno indirizzato le loro frustrazioni su strade diverse e convergenti.

L’interesse di «Giallo» finisce qui. Il resto è grand guignol di repertorio, primissimi piani di occhi attraversati da aghi di siringhe e mani martoriate da frammenti di vetro, dialoghi da cartoline del pubblico in una sceneggiatura che, in fin dei conti, Argento non ha neanche scritto. Se i titoli di testa recitano «scritto e diretto da Dario Argento», infatti, quelli di coda informano che la sceneggiatura è opera di due americani, Jim Agnew e Sean Keller, quasi alle prime armi. Insomma, tutto concorre a formare il quadro di un film del quale Argento non ama parlare, della cui sorte sembra essersi completamente disinteressato ma che, alla resa dei conti, ha girato proprio lui.

A Torino il commissario Avolfi indaga sui delitti di un serial killer che adesca belle donne con un taxi, le narcotizza, le imprigiona, le tortura per togliere loro la bellezza e infine le uccide. A lui si affianca Linda, una hostess appena arrivata in città per incontrare la sorella Celine, modella, che è proprio l’ultima preda del mostro. Insieme riusciranno a venire a capo del mistero. Poi ognuno andrà per la sua strada.

Con Argento si potrebbe liquidare il discorso invocando attenuanti anagrafiche. A settant’anni passati, il regista romano potrebbe aver raggiunto una sorta di serenità interiore che in qualche modo gli impedisce di trasmettere al pubblico paure che non gli appartengono più. D’altro canto, c’è il diavoletto che gli sussurra che è sempre lui il maestro della paura, che è il più bravo, che deve continuare. E così ci ritroviamo oggetti inutili come questo, che ci costringono alla nostalgia per quell’epoca in cui, tornando a casa a tarda ora e trovandoci a cercare l’interruttore della luce in un corridoio buio, proprio non potevamo fare a meno di pensare: «Ci sarà qualcuno?» oppure più semplicemente: «Sembra proprio un corridoio di Dario Argento». Oggi, passando accanto a un deposito di gas abbandonato, potremmo pensare a tante cose: all’abbandono, alla suggestione, alle erbacce, alla ruggine. Ma certo non al finale di «Giallo».

GIALLO di Dario Argento. Con Adrien Brody, Emmanuelle Seigner, Elsa Pataky, Robert Miano, Byron Deidra, Rayio Yamanouchi, Luis Molteni. ITALIA 2009; Thrilling; Colore