Film su «Sant’Anna», miracolo non riuscito
di Francesco Mininni
E’ l 12 agosto del 1944 un reparto delle SS occupò il paesino di Sant’Anna di Stazzema, nella zona delle Alpi Apuane, e massacrò oltre 500 civili, che vuol dire vecchi, donne e bambini. Giustizia è stata fatta soltanto nel 2005, con ex-nazisti ottantenni condannati all’ergastolo. Ma chi pensasse che Spike Lee abbia voluto girare un film su questo orribile episodio, sbaglierebbe. Né su Sant’Anna, né sugli italiani di paese, né sulla resistenza, né sulla crudeltà della guerra. Tant’è vero che tutte le polemiche suscitate dalla rappresentazione di un partigiano traditore sembrano studiate ad arte per fare pubblicità gratuita e stimolare l’interesse del pubblico. In realtà Spike Lee, rigorosamente regista del presente, ha per la prima volta raccontato il passato allo scopo di rendere giustizia ai Buffalo Soldiers della 92a divisione: soldati di colore mandati allo sbaraglio dalle gerarchie bianche e mai ricordati per coraggio, senso dell’onore e amor di patria. La cosa in sé non avrebbe niente di sbagliato. Se non che Lee, nell’impeto polemico, sembra aver dimenticato i luoghi in cui si svolge l’azione. O peggio, forte della sua conoscenza della realtà italo-americana (negli Stati Uniti, ovviamente), ha presunto di poter agevolmente rappresentare una realtà italiana (in Italia, ovviamente) che a quanto pare non conosce affatto. Ne è venuto fuori un film, Miracolo a Sant’Anna, davvero difficile da giudicare. Soprattutto per chi, abituato al realismo o all’iperrealismo di Spike, si trovi spiazzato da un melodramma bellico sopra le righe e sostanzialmente presuntuoso nel quale è veramente difficile riconoscere la mano dell’autore. Diciamo pure che buona parte della responsabilità possa gravare sulle spalle di James McBride, autore della sceneggiatura e del libro da cui è tratta. Ma anche se le cose stessero così, un narratore dotato di vigore e di uno stile particolare dovrebbe essere in grado di lasciare qualche segno riconoscibile. Invece Spike Lee ha rappresentato la Toscana (quindi l’Italia) con toni cartolineschi e i personaggi italiani come fossero macchiette da avanspettacolo, coinvolgendo nel pasticcio anche gli amati Buffalo Soldiers. Alla fine sono tutti scontenti: gli estimatori del neorealismo, i partigiani, gli storici, i difensori dei diritti umani e persino gli amanti del melodramma.
La storia prevede che i Buffalo Soldiers siano mandati in avanscoperta nella valle del Serchio, lasciati senza copertura e costretti a riparare in un paesino dove sperimenteranno la solidarietà della semplice gente di paese. Alla fine, ai giorni nostri, un sopravvissuto che ha appena ucciso il partigiano traditore e si trova in libertà perché un misterioso benefattore ha pagato la cauzione da due milioni di dollari, potrà riabbracciare (in lacrime) sulla spiaggia di Nassau quello che nel 1944 era il piccolo Angelo.
Alcuni attori-feticcio come Turturro e Leguizamo sono sparsi nel presente. Altri, di colore, come Derek Luke, Michael Ealy e Laz Alonso, restano nel passato o fanno la spola col presente. Gli italiani pagano pegno. Pierfrancesco Favino, il partigiano Peppi, reagisce con grinta a un personaggio d’archivio. Omero Antonutti, il vecchio Ludovico, fa venire una gran nostalgia de «La notte di San Lorenzo». Valentina Cervi, Renata, ha il difficile compito di dare credibilità a un personaggio che vive soltanto di inutili forzature drammatiche. E il piccolo Matteo Sciabordi, Angelo, è diretto da un regista che non ha alcuna pratica con i bambini. Né con il passato, né con l’Italia, né con la guerra. E l’orgoglio di razza non basta.
MIRACOLO A SANT’ANNA (Miracle at St. Anna) di Spike Lee. Con Derek Luke, Michael Ealy, Laz Alonso, Pierfrancesco Favino, Omero Antonutti. USA/ITALIA 2008; Bellico; Colore
L’attenzione sull’eccidio durante il quale furono uccisi 560 civili si è riaccesa dopo che il grande regista americano Spike Lee si è interessato alla storia ricavandone il film «Miracolo a Sant’Anna» uscito nelle sale lo scorso 3 ottobre.
Il regista, presente a Firenze all’incontro «Cinema e memoria» voluto dalla Regione Toscana in collaborazione con la Mediateca regionale, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena e l’Istituto di scienze umane, che si è svolto lo scorso 2 ottobre, ha affermato che «se tutte le polemiche scaturite dal mio film possono aiutare l’Italia e gli italiani ad aprirsi all’interpretazione del suo passato, non posso che essere contento».
Il film diretto da Spike Lee si ispira al romanzo dello scrittore afroamericano James McBride, presente all’incontro fiorentino, che ne ha curato anche la sceneggiatura.
Il film, come affermato dall’assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi, «non è un saggio storico, da una fiction non ci si può attendere precisione scientifica».
Lo stesso concetto è stato ribadito anche dall’autore del romanzo James McBride: «Sono uno scrittore commerciale di romanzi storici. Quando ho visto Sant’Anna dovevo pensare ad un modo per poter raccontare la storia a tutti. L’idea del miracolo mi è stata data da Dio, mentre guardavo la croce sulla sommità della chiesetta di Sant’Anna. Ho tutto il rispetto per i partigiani, ma volevo dimostrare che in guerra tutto è possibile. Spero di aver fatto un buon lavoro e che adesso le vittime stiano sorridendo del mio libro da lassù».
In guerra tutto è possibile: Spike Lee ha voluto porre l’accento su questo concetto, dimostrando attraverso il film come la guerra in Italia riuscì a dividere intere famiglie e come in realtà all’epoca i partigiani non fossero ben visti dai civili, per il loro modo di attaccare e fuggire simile a quello dei guerriglieri.
All’interno del dibattito il regista ha voluto anche parlare dell’aspetto culturale della sua opera «In America attraverso questo film molta gente scoprirà che è esistita una Resistenza anche in Italia e non solo in Francia. Però anche voi italiani continuate ad esplorare la vostra storia, come noi continueremo ad esplorare la nostra».
Il film si basa anche sul problema della scarsa considerazione che la gente ha della popolazione afroamericana. «Anche se gli afroameriacani sono venuti in Italia per liberarvi dal nazismo», ha concluso Spike Lee, «sono comunque considerati meno dei soldati bianchi».