«FAHRENHEIT 9/11»

DI FRANCESCO MININNIMichael Moore non crede ai suoi occhi. Prima un Oscar per «Bowling a Columbine», poi una Palma d’Oro per «Fahrenheit 9/11», infine una risposta massiccia del pubblico americano che gli ha fruttato incassi record e consensi inaspettati. Non crede ai suoi occhi, e fa bene. Dovrebbe piuttosto stare attento a non cadere nelle trappole del potere che, preso atto del fatto di non potergli mettere un bavaglio, ha trovato molto più utile e meno faticoso mettersi ad applaudire. Moore, che andrebbe a piedi dall’Atlantico al Pacifico pur di far crollare l’impero di Bush, è simpatico e coraggioso, ma non infallibile. Talvolta la sua smania di dire la verità si trasforma in una crociata personale contro il presidente Bush e non arretra di fronte a nulla pur di ottenere lo scopo: né di fronte al dolore, né di fronte all’indignazione, né di fronte alla morte (altrui).

Dobbiamo spiegarci. «Fahrenheit 9/11» non ripete l’effetto shock di «Bowling a Columbine» per vari motivi. Innanzitutto l’argomento, diversamente dal precedente, è di dominio pubblico in misura da rendere difficile qualche rivelazione sconvolgente. In secondo luogo, Moore si lascia trasportare dalla foga oratoria e trova difficile darsi una qualche misura, sorpassando più volte il confine tra l’indispensabile e il superfluo. Infine, non è detto che le sue catilinarie, inquadrate in un sistema che sa autoproteggersi alla perfezione, ottengano il grande effetto sperato. Cioè a dire: difficilmente il sostenitore di Bush (che non sostiene Bush, ma le proprie tasche) si convertirà alla causa democratica (che d’altronde Moore non ama alla follia) alla luce di fatti che già conosce. È opportuno ricordare che la reazione del pubblico europeo e di quello americano sono due cose completamente diverse: soltanto il giorno delle elezioni sapremo la verità. E se andrà come l’ultima volta, neanche allora.

Il dato più importante che emerge da «Fahrenheit 9/11» è che un cittadino americano (cioè Michael Moore) sia in grado di affermare che l’11 settembre, la guerra contro l’Iraq, i rapporti tra Bush e Ben Laden, il potere dei burattinai, il dolore delle marionette, la strategia del terrore, i conflitti tra reti televisive, tutto è legato indissolubilmente alle leggi del dollaro, ovvero del potere economico. Noi lo sappiamo e ci sembra scontato: per loro non è così. Per questo motivo confermiamo a Michael Moore la nostra simpatia e la nostra stima, pregandolo però di non scivolare verso l’audience a tutti i costi e ricordandogli che un fatto di cronaca conciso e documentato può essere molto più impressionante di mille astuzie di montaggio o dell’utilizzo illimitato del dolore altrui a fini non più critici ma strettamente propagandistici. FAHRENHEIT 9/11 (Id.) di Michael Moore. Usa 2004; Documentario; Colore