«FAHRENHEIT 9/11»
Dobbiamo spiegarci. «Fahrenheit 9/11» non ripete l’effetto shock di «Bowling a Columbine» per vari motivi. Innanzitutto l’argomento, diversamente dal precedente, è di dominio pubblico in misura da rendere difficile qualche rivelazione sconvolgente. In secondo luogo, Moore si lascia trasportare dalla foga oratoria e trova difficile darsi una qualche misura, sorpassando più volte il confine tra l’indispensabile e il superfluo. Infine, non è detto che le sue catilinarie, inquadrate in un sistema che sa autoproteggersi alla perfezione, ottengano il grande effetto sperato. Cioè a dire: difficilmente il sostenitore di Bush (che non sostiene Bush, ma le proprie tasche) si convertirà alla causa democratica (che d’altronde Moore non ama alla follia) alla luce di fatti che già conosce. È opportuno ricordare che la reazione del pubblico europeo e di quello americano sono due cose completamente diverse: soltanto il giorno delle elezioni sapremo la verità. E se andrà come l’ultima volta, neanche allora.