Due uomini allo specchio: «L’UOMO DEL TRENO»
L’incontro tra Milan e Manesquier, in una farmacia dove il primo acquista dell’Aspirina e l’altro gli fa presente che per l’effervescente c’è bisogno dell’acqua, potrebbe essere casuale. Poi Manesquier lo invita a casa, una strana casa-museo dove tutto sa di passato e di noia. Milan è incuriosito, ma non avrebbe motivo per trattenersi se non fosse che l’albergo è chiuso. Così torna. Come e perché i due diventino amici, è un percorso da scoprire con le immagini, non con le parole.
Malinconico e fatalista come ogni buon «polar» (ma anche come Leconte), «L’uomo del treno» riconcilia con il minimalismo quieto di gente che ha ancora qualcosa da dire ma forse non sa a chi dirlo. Leconte è in vena, ma il contributo dei due protagonisti è fondamentale. Da una parte Jean Rochefort, con la sua vita mai realmente vissuta, dall’altra Johnny Hallyday che, pur non essendo alla sua prima esperienza cinematografica, è una sorpresa assoluta nel suo saper esprimere un mondo senza dire una parola. Il primo accompagnato dalle note di Schubert, il secondo da quelle di Ry Cooder e addirittura differenziati dalle sfumature cromatiche del direttore della fotografia Jean-Marie Breujon, ci regalano l’illusione di una speranza: che quelle occasioni delle quali nella vita ci si accorge sempre un attimo dopo, in un film si possano in qualche modo realizzare. Per un attimo, naturalmente.
L’UOMO DEL TRENO (L’homme du train) di Patrice Leconte. Con Jean Rochefort, Johnny HallydayJean-François Stevenin. FRANCIA 2002; Drammatico; Colore