«DONNIE DARKO»

DI FRANCESCO MININNIElwood P. Dowd vedeva, lui soltanto, un coniglio bianco alto due metri di nome Harvey: un buon amico da augurare a chiunque. Donnie Darko, invece, vede un coniglio alto due metri di nome Frank: un coniglio malvagio che, in poche parole, lo istiga a delinquere. Santo cielo, sono passati tanti anni e tanta acqua sotto i ponti, ma l’ipotesi di Richard Kelly è perlomeno inquietante: ogni torto, ogni prepotenza, ogni malessere, ogni sassolino nella scarpa possono essere risolti con un atto di annientamento. Può essere l’allagamento della scuola (profetico, se avete presente la cronaca italiana recente) o l’incendio di una casa: fatto sta che Donnie, informato dell’imminenza della fine del mondo (28 giorni e spiccioli nell’ottobre del 1988), si sente finalmente qualcuno. E invece non sa che sta semplicemente andando verso l’autodistruzione.

«Donnie Darko», realizzato nel 2001 e distribuito con risultati fallimentari poco dopo l’11 settembre, si è conquistato un largo pubblico di fedelissimi diventando rapidamente un cult-movie grazie alla distribuzione in home-video. Le intenzioni di Kelly non sembrano limpide: da una parte esiste la possibilità di radiografare una generazione allo sbando inquadrata in un preciso momento storico (il 1988, quando l’America passò da Reagan a Bush sr.), utilizzando una interminabile serie di simbolismi che, tutti, dovrebbero rappresentare il tumulto interiore di un ragazzo che ne incarna milioni; dall’altra, però, esiste anche la possibilità che la ricchezza simbolica sia perfettamente fine a se stessa e che il film di Kelly sia studiato appositamente per confondere le idee e guadagnarsi la fama (redditizia) di film maledetto. Francamente, abbiamo qualche dubbio su quale versante scegliere.

In fondo «Donnie Darko», che ricorda sì «Harvey» ma anche «American Beauty» e molto cinema di contestazione degli anni Settanta da «Cinque pezzi facili» a «Anche gli uccelli uccidono», può dire tutto e il contrario di tutto. Quel che è certo è che Kelly ha avuto buon naso a organizzare un caos che, all’ultima curva, confessa candidamente di non aver bisogno di spiegazioni logiche. Come dire che «Donnie Darko» potrebbe essere una preoccupante analisi sociale ma anche un’astuta operazione mediatica che, invece di smascherare alcune mode, preferisce crearne altre. Così il serpente (che in questo caso è un coniglio) non finirà mai di mordersi la coda.Una segnalazione per il protagonista Jake Gyllenhaal: con la sua faccia da eterno disadattato, finisce per essere molto più inquietante del coniglio Frank. DONNIE DARKO (Id.) di Richard Kelly.Con Jake Gyllenhaal, Mary McDonnell, Jena Malone, Drew Barrymore, Patrick Swayze. USA 2001; Grottesco; Colore