DARK SHADOWS

DI FRANCESCO MININNI

Le «Dark Shadows» ideate da Dan Curtis equivalgono a una delle serie televisive più fortunate trasmesse negli Stati Uniti in orario diurno. C’erano vampiri, licantropi, fantasmi, una villa maledetta e soprattutto Barnabas Collins, vampiro non esattamente classico interpretato da Jonathan Frid, che lo stesso Curtis trasportò sul grande schermo nel 1970 ne «La casa dei vampiri». Niente di strano se questa serie, sulla cui qualità artistica sono stati sollevati forti dubbi, annovera tra i suoi appassionati due dei più celebrati giocherelloni del cinema americano, Quentin Tarantino e Tim Burton. E niente di strano se Tim Burton, proseguendo sulla strada degli incubi un po’ inquietanti e un po’ grotteschi, ha voluto trarne un film ad alto costo con scenografie molto elaborate, un cast con almeno una star assoluta (Johnny Depp, alla sua ottava collaborazione con il regista) e le solite musiche di Danny Elfman. Per finire, niente di strano se da parte nostra non possiamo che continuare a sollevare qualche dubbio sullo spessore autoriale di Burton, più bravo a costruire giocattoli che a farli funzionare.

Barnabas Collins, emigrato dall’Inghilterra nel Maine con i genitori, titolare di un’industria del pesce molto fiorente e inutilmente concupito dalla bella Angelique, è da questa maledetto e trasformato in vampiro, oltre che costretto a restare rinchiuso in una cassa sigillata per qualche secolo. Liberato durante lavori di scavo, torna a prendere possesso della magione di famiglia, dove ovviamente trova i discendenti: Elizabeth, Carolyn e David. Gli affari di famiglia non vanno particolarmente bene e Barnabas vorrebbe aiutare. Ma Angelique, a dispetto del nome, è una strega a tutti gli effetti ed è sopravvissuta allo scorrere del tempo. Non solo: la sua passione per Barnabas è immutata e non prevede la possibilità di ottenere un rifiuto. A questo punto lo scontro aperto diventa inevitabile…

Ha detto Tim Burton che il lavoro maggiore riguardo a «Dark Shadows» è consistito nel trovare il giusto equilibrio tra horror e commedia. Come sempre, ci permettiamo di rimanere perplessi. Perché, come sempre con Burton, non si riesce a capire dove finisca l’horror e cominci la commedia. «Dark Shadows», premiato dalle bellissime scenografie di Rick Heinrichs e dalla fotografia atmosferica di Bruno Delbonnel, non spaventa né fa ridere. Il che vuol dire che il capocomico, ovverosia Tim Burton, deve aver preso qualche misura sbagliata. Ora, essendo questo problema piuttosto ricorrente nel suo cinema, ci viene il sospetto che si tratti di un difetto ineliminabile. Così come «Il mistero di Sleepy Hollow», «Mars Attacks!», «La fabbrica di cioccolato» e «Sweeney Todd», anche «Dark Shadows» soffre di questa ambiguità: serio o burlesco? Cupo o giocoso? Brividi o risate? Non crediate che la risposta sia facile. In fondo il vampiro interpretato da Johnny Depp non è certo un personaggio che incarni il male, ma piuttosto una vittima costretta a ricoprire un ruolo che non sarebbe il suo.

Stando così le cose, verrebbe da pensare che, una volta tanto, sarebbe meglio che Burton optasse decisamente per una delle due forme espressive invece di barcamenarsi tra l’una e l’altra lanciando segnali di grandezza e incappando in vertiginose cadute di tono e di stile. Soppesando attentamente tutti gli elementi, ci sembra di poter dire che vedremmo più volentieri Tim Burton alle prese con un horror senza mezzi termini, perché nel cammino fin qui percorso i mezzi termini sono sempre stati quelli legati all’aspetto burlesco. Una scelta del genere, però, implica un percorso di crescita che non è detto che Burton, eterno bambino, voglia percorrere. Così com’è, «Dark Shadows» intriga per qualche minuto, finché non ci si rende conto che siamo alle solite. Qui subentra una sorta di noia invincibile. La stessa che potrebbe suscitare un teatro di marionette che replica sempre il medesimo spettacolo.

DARK SHADOWS (Id.) di Tim Burton. Con Johnny Depp, Eva Green, Michelle Pfeiffer, Johnny Lee Miller, Helena Bonham-Carter. USA 2012; Horror; Colore