Cuori Puri

Cuori puri non è soltanto un riferimento a Stefano e Agnese, protagonisti del film d’esordio di Roberto De Paolis. Certo, è il riferimento più importante perché sta ad indicare due persone che, nel marasma del vivere contemporaneo, nella difficoltà di trovare un lavoro, nei complicati rapporti con famiglie dalle diverse problematiche, nella continua tentazione di mandare tutto all’aria e lasciarsi trascinare dalla corrente, cercano faticosamente di trovare un punto d’incontro che permetta loro un riferimento, un centro di gravità, un porto se non sicuro almeno stabile. In poche parole, un’unione che vada oltre la ribellione, il sesso, la protesta, l’anticonformismo. La ricerca di un abbraccio che voglia significare presenza, collaborazione, vicinanza. E anche, molto faticosamente, solidarietà, in quanto la loro storia è legata a filo doppio a un campo rom assistito (ecco il secondo riferimento del titolo) dall’associazione Cuori Puri, voluta da don Luca e che ha come stretta collaboratrice la madre di Agnese. Diciamo che in un contesto di realismo lodevole e senza fronzoli, dove la borgata di Tor Vergata è veramente una terra di nessuno osservata con obiettività e assenza di luoghi comuni, alcuni problemi del film di De Paolis vengono dall’occhio preconcetto con cui è osservata e rappresentata l’interferenza della religione.

Agnese frequenta l’associazione di don Luca, un sacerdote alla mano, buon ascoltatore, capace di pensieri profondi, ma anche di proporre ai giovani una sorta di promessa nella quale ci si dichiara disposti ad osservare la castità fino al matrimonio. Marta, madre di Agnese, la incoraggia e più ancora la spinge ad accettare, ispirata più da un’ossessione religiosa che da autentico amor materno. A sconvolgere i suoi piani arriva Stefano, che lavora come sorvegliante di un supermercato, frequenta delinquenti di borgata e deve occuparsi dei genitori che rischiano lo sfratto perché da tempo insolventi nel pagamento dell’affitto. Il primo incontro potrebbe essere anche l’ultimo: Agnese ruba un cellulare da poco e Stefano la individua e dovrebbe denunciarla. Poi le cose prenderanno un’altra piega.

Cuori puri mostra in De Paolis una volontà di costruire qualcosa invece di limitarsi a puntare un indice accusatore. Ma soprattutto rivela in lui un talento compositivo che lo porta ad ottenere un notevole risultato in quella borgata divisa tra un parcheggio, un campo rom, case popolari e i locali parrocchiali: un generico squallore dal quale, come per miracolo, dovrebbe emergere un amore, ovverosia una speranza. E De Paolis, che sa bene come le bacchette magiche siano strumenti pericolosi, lavora di realismo senza divergere dall’asse e riesce a rendere credibile il doppio cambiamento di Agnese e Stefano in un modo che assomiglia pochissimo alla finzione.

Proprio per questo stride il contrasto con alcune domande che restano senza risposta. Perché Marta è tanto ossessionata dalla religione? Dov’è suo marito, ovvero il padre di Agnese? Come è possibile che un sacerdote abituato a vivere un quotidiano tanto ruvido si dimostri all’altezza di tutto e poi proponga ai ragazzi una promessa che dovrebbe riposare nell’intimo e non essere esposta ai quattro venti? Saranno anche dettagli, ma a noi sembra proprio che diventino importanti nel momento in cui, in loro assenza, non solo il cammino di Agnese e Stefano non progredirebbe, ma proprio non esisterebbe il film.

Si tratta di una spruzzata di anticlericalismo che dovrebbe rappresentare un sostegno alla tesi del film e che invece, rivelandosi non necessaria, indebolisce la struttura e il percorso. Peccato, perché don Luca (Stefano Fresi, lontano dalla frenesia di «Smetto quando voglio») è capace di paragonare Gesù al navigatore della macchina: se sbagli strada non si mette a sbraitare, ma ricalcola il percorso e ti riporta sempre a casa. Bello.

CUORI PURI di Roberto De Paolis. Con Selene Caramazza, Simone Liberati, Barbora Bobulova, Stefano Fresi, Edoardo Pesce, Federico Pacifici.   ITALIA 2017; Drammatico; Colore.