«CLOSER»

DI FRANCESCO MININNIMike Nichols ha raccontato nevrosi («Chi ha paura di Virginia Woolf?»), tumulti generazionali («Il laureato»), follie («Comma 22») e persino redenzioni («A proposito di Henry»). Nei casi migliori, è stato un impareggiabile lettore dei tempi, delle tendenze, del costume. In particolare con «Conoscenza carnale», nel 1971, seppe farsi illustratore (senza elogi né critiche) del momento in cui l’etica del sesso cominciava a mutare, passando da una sorta di romanticismo letterario al realismo senza veli. A più di trent’anni di distanza da quel film (e a 73 anni di età) Nichols torna sull’argomento con «Closer», sulla base di un testo teatrale dell’inglese Patrick Marber, autore anche della sceneggiatura. Ci torna, in un certo senso, con immutata violenza, senza mezzi termini, con un realismo forse più letterario che autentico, ma comunque con la voglia di raccontare una situazione che, a Londra o a New York, è andata proprio nella direzione che lui e lo scrittore Jules Feiffer avevano indicato.

Si parla di coppie, due in particolare: Dan, scrittore fallito costretto a scrivere necrologi sui giornali, e Alice, spogliarellista un po’ per necessità e un po’ per vocazione; Larry, dermatologo e acrobata del sesso, e Anna, fotografa di successo. Larry e Anna si sono incontrati perché Dan, chattando su Internet, si è finto donna e ha dato a Larry un appuntamento all’acquario, dove appunto si trovava Anna. Poi Dan e Anna avviano una relazione che porterà Alice ad andarsene e, in extremis, proprio Larry e Anna a rimettersi insieme. È ovvio che tutto potrebbe ricominciare e durare all’infinito.

Marber ha contato sul fatto che certe esplicitazioni, in ambito teatrale, avrebbero sicuramente lasciato il segno. Ma al cinema è diverso e Nichols sa bene che oggi, qualunque siano le motivazioni, non è così facile fare scandalo. Perciò, dando per scontata l’apparente spudoratezza di un testo destinato ad invecchiare rapidamente, si è concentrato su luoghi, atmosfere e idee, ottenendo qualcosa di molto simile a una radiografia. Che va bene a patto di non farla diventare una verità universale: in tutti i luoghi, in certe condizioni, con maggior frequenza rispetto al passato, ci sono persone che, avendo prospettive rigorosamente orizzontali, si prendono, si lasciano e si riprendono come se ogni volta dovesse essere la prima o l’ultima.

L’intimità, a certi livelli, è sempre più di dominio pubblico e sempre meno privata. L’amore, beh, non è detto che sia sempre una cosa meravigliosa. Vale per Dan, per Alice, per Larry, per Anna, ma non per tutti. Quello che emerge da «Closer» è l’immagine di un mondo freddo, cinico, privo di profondità, dove la conoscenza carnale sembra diventata una barriera che impedisce alle persone di conoscersi realmente. Uno squallore che Nichols rende anche più tangibile con uno stile algido e raffinato e con il contributo di quattro attori (Julia Roberts, Jude Law, Natalie Portman e Clive Owen) perfettamente calati nei rispettivi personaggi.

Da tenere bene a mente: «Closer» non parla di verità assolute, ma di una situazione in atto che non tutti conoscono e non tutti vivono. E come tutte le opere che partono da un intento provocatorio, è più di altre soggetta a vecchiaia precoce.

CLOSER (Id.) di Mike Nichols. Con Julia Roberts, Jude Law, Natalie Portman, Clive Owen.

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