Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente
L’operazione compiuta da Daniele Luchetti in «Chiamatemi Francesco» è al tempo stesso rischiosa, coraggiosa e soprattutto difficile da capire a priori. Una biografia di Papa Francesco realizzata senza interpellare l’interessato e quindi in totale autonomia è soltanto il primo dei problemi che, di qualunque natura siano, si riconducono tutti a una domanda: quale sarà il punto di vista? In questo senso possiamo sgombrare il campo dal rischio dell’agiografia, completamente assente, e capire ben presto che Luchetti ha, per così dire, approfittato della persona di Bergoglio per raccontare un paese tormentato e inquadrato proprio nel momento del massimo potere del dittatore Videla. In quegli anni, dalla metà dei Sessanta ai primi Ottanta, l’Argentina è stata a tutti gli effetti uno stato militarizzato senza che alla gente fosse concesso alcun diritto, neanche quelli elementari.
E Jorge Mario Bergoglio, studente in chimica, poi laureato in filosofia, avverte la vocazione al sacerdozio che lo porta al noviziato nella Compagnia di Gesù nel 1958, all’ordinazione sacerdotale nel 1969, alla nomina a superiore provinciale nel 1973, al vescovato di Buenos Aires nel 1992, alla porpora cardinalizia nel 2001 e al Papato nel 2013. Sullo sfondo, ma in realtà con ruolo preminente, la dittatura, gli abusi della polizia, i desaparecidos, la grande distanza tra ricchezza e povertà. Un’altra domanda: come si fa a far entrare tutto questo in un film di 94’? Non si può. Infatti «Chiamatemi Francesco» ne dura 200, è diviso in quattro parti e verrà trasmesso su Mediaset in futuro.
Il riassunto che ne vediamo al cinema sarebbe assolutamente inutile, oltre che poco ricercato dal pubblico, e potrebbe far pensare a una sorta di veicolo promozionale per lo sceneggiato televisivo più che a una furbizia commerciale dall’esito molto dubbio, se non fosse che nel suo piccolo, con tutti quei salti temporali che rendono evidente il rimaneggiamento del montaggio e con le tappe della Storia raccontate un po’ in soldoni, senza reale approfondimento storico e psicologico, dà la possibilità di comprendere come alla base di tutta l’operazione ci sia comunque un’onestà di fondo. Non foss’altro per la rappresentazione della Chiesa argentina, con qualche alto prelato pavido e quasi sottomesso al regime e qualche altro invece combattivo e capace di svolgere il proprio ruolo con coscienza.
E anche Jorge Mario Bergoglio, pragmatico, idealista, molto attivo in ogni circostanza, vicinissimo alla gente di strada, quindi perfettamente in linea con la sua attività da Papa, è rappresentato senza concessioni al facile entusiasmo, con qualche fuggevole accenno alla sua cautela nell’abbracciare la Teologia della Liberazione e persino nei suoi complessi rapporti con i sacerdoti delle zone più povere, a due dei quali fu costretto a revocare la protezione dell’Ordine rendendoli facili prede del regime. Insomma, Luchetti ha fatto il possibile per tenersi a distanza dal santino, dall’elogio incondizionato e contemporaneamente anche dall’ascolto delle voci contrarie senza discernimento.
CHIAMATEMI FRANCESCO. IL PAPA DELLA GENTE di Daniele Luchetti. Con Rodrigo De la Serna, Sergio Hernández, Muriel Santa Ana. I/D/RA 2015; Biografico; ColoreIL/F/D 2014; Drammatico; Colore