«CHE NE SARÀ DI NOI»
Matteo, Manuel e Paolo, appena usciti dall’esame di maturità, progettano mille avventure e scelgono un viaggio in Grecia nell’isola di Santorini. La mèta non è casuale: lì trascorre le vacanze Carmen, il grande amore di Matteo, che spera così di rafforzare il legame. Si dà il caso, però, che Carmen sia assiduamente corteggiata da un adulto libertino e che (ne avreste dubitato?) non abbia per nulla le idee chiare sulla propria vita. E dunque, che ne sarà di loro? Qualcuno tornerà, qualcuno proseguirà il viaggio. Se poi crescano o rimangano una generazione omologata, ci vorrebbe un indovino (ma di quelli bravi) per saperlo.
Non vorremmo che Silvio Muccino, dopo il prezioso contributo dato al fratello Gabriele per «Come te nessuno mai», sia caduto nella trappola di credersi un «guru» della propria generazione. Non è detto: ribadiamo infatti che in partenza «Che ne sarà di noi» sembra dettato da un’esigenza di sincerità. La quale, però, si diluisce cammin facendo nel gran mare della commedia, fino a sfiorare la trasformazione dei protagonisti in amabili caricature più legate a modelli cinematografici che alla vita vera. In questo senso sono da intendere una serpeggiante misoginia, una rappresentazione fin troppo pittoresca di certe usanze greche, un personaggio d’archivio come il playboy di Enrico Silvestrin e, addirittura, l’esplicita riproposta delle teorie sulla fuga elaborate da Gabriele Salvatores in «Marrakech Express» (Giuseppe Cederna da una parte e Giuseppe Sanfelice dall’altra arrivano a conclusioni sovrapponibili)..
Dei tre protagonisti, Elio Germano (Manuel) è il più azzeccato. Silvio Muccino rifà più o meno se stesso e Giuseppe Sanfelice è troppo preoccupato di uscire dall’immagine che di lui è rimasta dopo «La stanza del figlio». Giovanni Veronesi, se parliamo di marketing, non ha sbagliato niente. Ma non basta per promuovere un film che, partendo dai problemi dei giovani d’oggi, finisce col parlarci soltanto di un fac-simile di celluloide. Così l’attualità diventa archeologia.