«C’ERA UNA VOLTA IN MESSICO»

DI FRANCESCO MININNIC’era una volta Robert Rodriguez, che nel 1992 con appena 7000 dollari girò «El Mariachi», diventato rapidamente un oggetto di culto. C’era una volta Quentin Tarantino, che se ne appassionò al punto da volere che tre anni dopo Rodriguez ne facesse un remake-sequel hollywoodiano, «Desperado». C’era una volta l’idea bizzarra di una trilogia che ripercorresse (sulla carta e a parole) il tragitto del dollaro di Sergio Leone. E così, nel 2001, nacque «C’era una volta in Messico».

Se i film durassero venti minuti, «C’era una volta in Messico», proprio come «Desperado», sarebbe anche un gran film. Qualcuno che racconta, qualcuno che ascolta, qualcuno che spara e qualcuno che muore: un mito forse postmoderno, ma estremamente affascinante e ritmato. Poi, però, Rodriguez dimentica di essere l’autore di «El Mariachi» e si associa a Tarantino: spara finchè ha colpi in canna e continua a sparare anche quando il caricatore è vuoto. Diversamente da «Giù la testa», dove ogni esplosione aveva una valenza di volta in volta umana, politica, sociale, qui l’esplosivo è un giocattolo esattamente come le vite dei protagonisti.

Il Mariachi, che ha perso moglie e figlia per mano del generale Marquez, è assoldato da un agente della Cia (che indossa una T-shirt con la scritta CIA) per uccidere il boss della droga Barillo prima che metta in atto un tentativo di colpo di stato. Quando tutti cominciano a sparare, naturalmente, i confini tra amici e nemici diventano sempre più labili…

È evidente che il gioco del sequel, in questo modo, potrebbe non aver mai fine. Basta aggiungere un personaggio o due (qui il Barillo di Willem Dafoe e il tirapiedi di Mickey Rourke) per rimescolare le carte e dare fuoco alla miccia.

Ma è anche evidente come il riferimento diretto a Sergio Leone (dal titolo alla dubbia collocazione etica dei personaggi ai primissimi piani degli occhi a tutto schermo), alla violenza iperrealista di Sam Peckinpah, al melodramma e persino alla tragedia greca, non possano che giocare a sfavore del cinema di Rodriguez, che da bizzarro rivisitatore del noir più classico si è trasformato in divoratore di cinema con problemi di digestione.

Nel gran caos di questo carrozzone tanto professionale quanto sgangherato, ha modo ancora una volta di emergere con ironia Johnny Depp che, servendosi di un terzo braccio, infligge un fiero colpo a tanti doppiogiochisti che, prima di mettere le carte in tavola, il braccio se lo sarebbero tagliato sul serio. Un tocco di classe che salva l’attore ma non il film.

C’ERA UNA VOLTA IN MESSICO (Once Upon a Time in Mexico) di Robert Rodriguez. Con Antonio Banderas, Salma Hayek, Johnny Depp, Willem Dafoe. USA 2003; Thriller; Colore