C’era una volta… a Hollywood

Là uccideva Hitler in un cinema innescando l’attentato con l’incendio della pellicola (quindi, era proprio il cinema a spazzare via il dittatore). Qui invece rilegge la Los Angeles del 1969 inventando due personaggi di fantasia, l’attore Rick Dalton e la sua controfigura Cliff Booth, e facendoli interagire con personaggi che invece sono tutti realmente esistiti: Sam Wanamaker, Bruce Lee, Steve McQueen, Roman Polanski e Sharon Tate.

Se la ricostruzione d’epoca è minuziosa e (ne avreste dubitato?) disseminata di citazioni immancabili per un onnivoro di cinema, le carte di ciò che accadde in realtà sono completamente rimescolate e, a seconda del modo in cui i personaggi accettano di entrare nella storia finta di Dalton e Booth, finiscono per riscrivere la storia ufficiale con avvenimenti mai accaduti. E per fare questo Tarantino adotta uno stile che è abbastanza diverso dal consueto: mentre di solito il regista preferisce ritmi vorticosi e violenza come leitmotiv, questa volta dilata tutto il possibile, dagli sguardi ai dettagli ambientali, dai dialoghi ai monologhi, dai movimenti di macchina al montaggio stesso, di modo che l’esplosione di violenza finale abbia l’effetto della caduta di un fulmine, meglio ancora di uno shock.

Il gioco (perché non dimentichiamo che sempre di un gioco si tratta) finisce per avere un suo perché, salvo interrogarsi alla fine se invece di allontanarsi dal suo granitico autoreferenzialismo Tarantino non continui invece a tessere le proprie lodi ergendosi a scardinatore dei meccanismi tradizionali e ripetendo all’infinito di essere capace di tutto.

Rick Dalton non è esattamente una star. Come gli fa notare un produttore entusiasta e cinico, il fatto di interpretare sempre il ruolo del cattivo lo farà ricordare soltanto come quello cui il buono di turno ha fatto il sedere a strisce. Automaticamente Rick si convince di essere «roba vecchia» ed entra in una sorta di depressione che non aiutano a superare le offerte di ruoli in western all’italiana diretti da Sergio Corbucci. Il suo stuntman, consigliere e factotum, Cliff Booth, cerca di convincerlo che non è così, anche perché sa che il proprio destino è strettamente legato a quello di Rick. Nel frattempo Rick prende atto del fatto che Roman Polanski e Sharon Tate sono i suoi nuovi vicini di casa, mentre Cliff conosce la «famiglia» di Charles Manson che risiede nel ranch nel quale lui girava western. Le loro storie finiranno inevitabilmente per incrociarsi.

Che Quentin Tarantino sappia girare un film è indiscutibile. E lo è anche il fatto che, prima di lasciarsi prendere da qualche demone o paranoia, sia capace di avere qualche buona idea che sembra poter riscrivere le regole del cinema (un cinema che lui ama alla follia) e della Storia. In si apprezzano alcune scelte imprevedibili (l’idea che Brad Pitt sia la controfigura di Leonardo DiCaprio è la migliore), l’accuratezza maniacale della ricostruzione di un’epoca lontana, la brillantezza di alcune soluzioni narrative e la voglia di stupire in un modo un po’ diverso dal solito.

Ne esce un film sostanzialmente equilibrato nel quale tutto può rivelarsi il contrario di tutto senza giochi di prestigio né fuochi artificiali. Alla fine, però, non possiamo fare a meno di continuare a chiederci se Tarantino, diversamente da Charlie Chaplin, Orson Welles, Alfred Hitchcock o Ingmar Bergman, potrebbe mai esistere senza tutto il cinema venuto prima di lui e con il quale lui continua imperterrito a lavorare, scherzare, manipolare e al quale non perde occasione per rendere omaggio. Se si ponesse il problema di prendere o lasciare, confessiamo che saremmo in forte imbarazzo. Anche se, in fin dei conti, è Hollywood, baby.

C’ERA UNA VOLTA… A HOLLYWOOD di Quentin Tarantino. Con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino. USA 2019; Drammatico; Colore