CENTOCHIODI

DI FRANCESCO MININNI

E’ impossibile non condividere il pensiero di Ermanno Olmi quando afferma che tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico. Non si può contraddirlo quando arriva alla conclusione che la crisi del pensiero occidentale ha portato a un immobilismo della cultura ripiegata su se stessa. Siamo persino disposti a combattere al suo fianco nella ricerca delle radici della vita vera, della povera gente, della natura semplice e perciò bella, di un darsi agli altri che non preveda mai un rientro economico, di una fisarmonica che sulle rive del Po suona «Non ti scordar di me». E dunque, «Centochiodi» potrebbe essere un capolavoro. Se non fosse che, colto da un attacco di relativismo, Olmi finisce per equiparare il pensiero occidentale e le sacre scritture, rappresenta una Chiesa oscurantista che crede più nei libri che nelle persone, utilizza i chiodi della croce del Cristo per inchiodare un centinaio di volumi storici su tavoli e pavimenti della biblioteca e infine, a testimonianza di una fede che deve aver subito qualche attacco frontale, si lancia in un’invettiva assai poco cristiana secondo la quale nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto di tutte le sofferenze dell’umanità.

«Centochiodi» è un film sofferto, ricco di spunti e di argomenti, visivamente splendido sia all’interno di una biblioteca che a cielo aperto tra fiume e campagna. Ricco negli spunti musicali, prezioso nella accuratissima fotografia, impareggiabile nella ricerca della verità dei volti popolari e lodevole nella scoperta di un Raz Degan capace di introspezione e non soltanto di presenza fisica. Ricco, ma ambiguo. Di un’ambiguità che, oggi, è in grado di richiamare il grande pubblico e di seminare dubbio laddove avremmo bisogno di qualche certezza. In fin dei conti il percorso sembra semplice e inizialmente persino condivisibile: un professore di filosofia dell’università di Bologna fa scempio dei volumi della biblioteca storica inchiodandoli uno per uno sui tavoli e sul pavimento. Poi sparisce, andando a nascondersi in una casa diroccata sulle rive del Po. Qui entra in contatto con una comunità di povera gente che, come i barboni di «Miracolo a Milano», ha soltanto bisogno di una capanna e un po’ di terra per vivere e dormir. Pur di aiutarli a sfuggire alle trappole del progresso, secondo il quale dovrebbero essere sfrattati in quanto abusivi, paga con la carta di credito una grossa ammenda ed è per questo rintracciato e arrestato. In un faccia a faccia con l’anziano sacerdote della biblioteca ha modo di esprimere per intero il proprio pensiero che, chissà perché, prende di mira unicamente la Chiesa: più innamorata dei libri che delle persone, ancorata all’idea di un Dio dell’amore cui invece sarà chiesto conto delle sofferenze del genere umano, fallimentare nel suo rinchiudersi in una cittadella di sapere della quale il tempo farà giustizia. Poi, ottenuti gli arresti domiciliari, sparisce. I suoi amici del Po, seduti intorno a un tavolo, lo attenderanno invano.

Che Olmi sia stato (e a quanto pare voglia tornare ad essere) un grande documentarista, si vede ad ogni pie’ sospinto. Il Po, la gente del Po, le farfalle e le api, i pesci, le albe e i tramonti: «Centochiodi» è grande cinema povero, quasi francescano nella sua ricerca della semplicità dell’immagine. Ma Olmi, se tecnicamente è diventato un maestro, non è più lo stesso uomo che realizzò «L’albero degli zoccoli». Le sue certezze si sono fatte dubbi. La sua semplicità tematica ha subito una profonda involuzione. Il suo rapporto con il cinema è cambiato in quanto è cambiato il suo rapporto con il mondo. A ben guardare, «Centochiodi» soffre di una confusione ideologica molto simile a quella del professore che sovrappone filosofia e religione. E, senza essere un film da ignorare o tanto meno da liquidare con poche parole, fatica a farsi capire nella sua ricerca di una verità tanto relativa da sfuggire a qualunque tentativo di afferrarla. Che poi, a pensarci bene, è la sua destinazione ultima: perché «Centochiodi» non è un film sulla verità, ma sul dubbio.

CENTOCHIODI di Ermanno Olmi. Con Raz Degan, Luna Bendandi, Michele Zattera, Amina Seyad. ITALIA 2007; Drammatico; Colore

(dal n. 14 dell’8 aprile 2008)