CARNAGE
DI FRANCESCO MININNI
Yasmina Reza è una scrittrice e drammaturga francese abbastanza giovane (è nata nel 1959) che è già riuscita a conquistare premi e consensi prima in patria, poi nel resto del mondo. Non conoscendo la sua opera, dobbiamo limitarci a giudicarla da «Carnage», che Roman Polanski ha tratto dalla sua pièce «Le dieu du carnage» scritta nel 2007. Si capisce come il dramma abbia stimolato il regista polacco, che vi ha sicuramente ritrovato elementi a lui familiari perché già analizzati in opere come «Il coltello nell’acqua», «Cul de sac», «Luna di fiele». Innanzitutto la claustrofobia di un ambiente chiuso dal quale sembra impossibile uscire. Poi la serrata dialettica che porta quattro personaggi apparentemente normali a tirar fuori il peggio di sé in un crescendo di reciproci assalti.
Quindi un attacco diretto al mondo ordinato e incasellato della borghesia. Infine la progressiva scoperta di quanto l’uomo moderno possa ancora assomigliare a quello primitivo e comportarsi di conseguenza. Ora, è indiscutibile che il testo sia ricco di scambi scoppiettanti e attraversato da un senso mortuario che, per l’appunto, suona il requiem all’universo civilizzato e civile. È altrettanto indiscutibile che i quattro protagonisti, Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly, trovino una sorta di combinazione alchemica che permette loro di dare il meglio senza che a qualcuno venga in mente di rubare la scena all’altro. Eppure c’è qualcosa che non convince.
Il trauma scatenante della vicenda è mostrato in campo lungo: a New York, dopo una scaramuccia tra alcuni adolescenti, uno colpisce un altro con un bastone. I genitori, Alan e Nancy Cowan dell’aggressore, Michael e Penelope Longstreet della vittima, si incontrano a casa dei secondi per scuse e chiarificazioni. Quella che sembra inizialmente una riunione civilissima, si trasforma pian piano in un gioco al massacro che, fatalmente, si concluderà senza vincitori.
A pensarci bene, quel che meno ci ha convinto di «Carnage» è l’assoluta impossibilità del testo e della sceneggiatura (sempre opera di Yasmina Reza) di sorprenderci in alcun modo. Una volta appurato, nel giro di un quarto d’ora, che la riunione amichevole si trasformerà in uno scontro armato, si può soltanto attendere di conoscerne le modalità, essendo le finalità assolutamente palesi. Ciò porta a una sorta di irrequietezza da parte del pubblico che, alla fine, si interessa poco di seguire il lavoro di Polanski nei dettagli tecnici ed espressivi, ma attende soltanto una qualunque conclusione. C’è anche da dire che un incontro amichevole che si trasforma in un massacro psicologico era già alla base di «Chi ha paura di Virginia Woolf?» di Edward Albee, tradotto in film da Mike Nichols, e che un luogo dal quale non si riesce ad uscire era stato magnificato da Luis Buñuel ne «L’angelo sterminatore» (incidentalmente, un altro requiem alla borghesia).
Magari qualcuno ci accuserà di superficialità, ma a noi è parso che Yasmine Reza abbia sfondato una porta aperta e che Polanski, indubitabilmente invecchiato per ragioni non soltanto anagrafiche, abbia fatto del proprio meglio con un materiale di riporto. Certo, non si può dire che «Carnage» sia un fallimento. Ma gridare al capolavoro è del tutto fuori luogo. Tecnicamente ci si chiede il perché della scelta del cinemascope per una storia che praticamente si svolge tutta in una stanza. Da un punto di vista del contenuto, invece, ci si chiede dove stia la novità.
Niente da dire, invece, sugli attori, con la parziale eccezione di Jodie Foster che, avendo per natura un temperamento freddo, quando deve salire con l’emotività tende un po’ a forzare. Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly sono bravi e dimostrano nell’autore un buon fiuto nell’abbinare caratteri e specifiche fisiche. E poi c’è il criceto: abbandonato per strada da Michael che non lo sopporta, è mostrato alla fine vivo e vegeto nel parco. Come a dire che lui è libero e che in gabbia, da veri prigionieri, stanno gli esseri umani.