«BUBBLE»

DI FRANCESCO MININNIIl film «Bubble» dimostra che Steven Soderbergh forse fa bene a immergersi totalmente nel cinema commerciale con opere come «Ocean’s Eleven» e «Ocean’s Twelve». Semplicemente perché dopo è un piacere ritrovarlo in un film a basso costo dove non contano né le star né gli effetti speciali, ma soltanto quel che uno ha da dire. E così ci si accorge che nessun percorso è definitivo e senza ritorno.

A ben guardare, ciò assomiglia molto alla parabola del figliol prodigo. La differenza è che gli esercenti americani, invece di far uccidere il vitello grasso, hanno relegato «Bubble» in pochissime sale condannandolo a un risibile incasso di 72.000 dollari. Forse prevedendo l’inghippo, Soderbergh ha pensato a un’uscita contemporanea sugli schermi, in DVD e sulla TV via cavo, ramazzando con le altre due opzioni un utile di cinque milioni di dollari (soltanto per il primo weekend).

Se questo non depone a favore della lungimiranza degli esercenti, crea anche un sinistro precedente: saltare le sale ed uscire subito in home-video potrebbe anche rappresentare la fine di qualcosa.

In una cittadina del Midwest, dove la gente vive senza sogni e senza prospettive, dove nessuno si arricchisce e dove i giorni sembrano tutti uguali, si incrociano le vicende di Martha, Kyle e Rose, colleghi di lavoro in una fabbrica di bambole. Martha ha un padre infermo, è grassa e bruttina, forse ama segretamente Kyle, che da parte sua sembra non accorgersene, vive sotto psicofarmaci e ha una madre depressa. Rose, la nuova arrivata, ha una figlia di due anni e un ex che coltiva e spaccia marijuana. Neanche due furti e un omicidio scuoteranno quell’angolo di mondo dalla sua apatia.

I riferimenti di Soderbergh possono essere molteplici: sicuramente i quadri della solitudine di Edward Hopper e i racconti esistenziali di Raymond Carver. Ma, andando a ritroso, potremmo trovare persino tracce di Brecht e Pirandello. Per raccontare, con uno stile essenziale e privo di fronzoli, come si possa morire dentro lentamente, giorno dopo giorno, senza sussulti né reazioni. Come si possa arrivare a uccidere quasi senza rendersene conto. E senza che nulla di ciò che si muove intorno a noi, persone o cose che siano, facciano qualcosa per fermarci.

In questa cornice di radicale pessimismo, Soderbergh si muove con passo leggero senza forzare alcun tono né dare mai l’impressione di voler speculare sulle altrui disgrazie. Ha modo, anzi, di condurre una ricerca di stile che lo porta a risultati eccellenti: di gran rilievo, ad esempio, la fabbrica di bambole nella quale vediamo solo pezzi sparsi e mai un prodotto finito, che sembra un’immagine molto inquietante dell’esistenza dei protagonisti Gli attori, tutti sconosciuti, sembrano perfetti: più che interpretare, vivono i rispettivi personaggi con effetto di assoluta naturalezza. Martha è interpretata da Debbie Doebereiner, al suo primo film: nessuna attrice professionista avrebbe saputo esprimere innocenza, repressione e catatonia con altrettanta naturalezza.«Bubble» significa «bolla». Ma anche un progetto irrealizzabile, campato in aria. Come le vite dei protagonisti: esistenze a pezzi senza avvenire. BUBBLE (Id.) di Steven Soderbergh.Con Debbie Doebereiner, Dustin James Ashley, Misty Dawn Wilkins. USA 2005; Drammatico; Colore