BROTHERHOOD
DI FRANCESCO MININNI
Vincitore del primo premio al Festival di Roma, «Brotherhood» di Nicolo Donato (danese di origini italiane) ci pone per l’ennesima volta di fronte a un dubbio più che amletico. Se sia giusto, cioè, sollevare obiezioni di fronte a un’opera così marcatamente democratica e contraria ai lacci di ogni ideologia in nome di qualche potente remora morale. Se, cioè, ci si debba aspettare di essere tacciati di omofobia o, più semplicemente, di ristrettezza di vedute nel momento in cui ogni angolo del cosiddetto progresso parla di aperture, uguaglianza e pari diritti riferendosi alla comunità omosessuale internazionale. Se, insomma, dobbiamo considerarci stupidi integralisti o patetici grilli parlanti, dandocelo da soli prima che siano gli altri a provvedere. Certo, la questione non è così grossolana e radicale. Donato è dotato di notevoli strumenti espressivi che mostra di saper usare con competenza e persino finezza. «Brotherhood», tanto per capirsi, non è uno stupido manifesto a favore degli omosessuali, quanto piuttosto un’accorata difesa della libertà di pensiero e di sentimento in un’epoca in cui ritorni di fiamma di certe ideologie pesantemente fasciste potrebbero prefigurare un nuovo tentativo di censura in tal senso.
Lars, abbandonata la carriera militare, non resiste al richiamo del neonazismo ed entra a far parte di un movimento che ce l’ha in modo particolare con immigrati e omosessuali. Il suo istruttore è Jimmy, che non lo vede particolarmente di buon occhio perché con il suo arrivo ha tolto spazio al fratello. Eppure, com’è come non è, tra Jimmy e Lars nasce l’amore, che sarà pesantemente ostacolato dalle gerarchie con mezzi molto diretti
Lo schematismo del film è il seguente: da una parte c’è la luce dell’amore, dall’altra il buio dell’odio. Ebbene, come è possibile che qualcuno possa pensare di dichiararsi favorevole all’odio soltanto perché l’amore sboccia tra due uomini? È come dire che sia cosa buona e giusta dichiararsi favorevoli al furto perché meno crudele dell’omicidio. Cioè, siamo quasi costretti a prendere le parti di Jimmy e Lars perché diversamente dovremmo prendere quelle del partito. A nostro modo di vedere, quesiti del genere non meritano alcuna risposta per il semplice motivo di essere stati posti in un certo modo. Ma c’è di più, ed è una cosa che probabilmente taglia la testa al toro: è la dichiarazione di Nicolo Donato secondo la quale il nazifascismo, proprio come i dissidi familiari tra Montecchi e Capuleti, non sarebbe altro che un’esigenza di sceneggiatura per sostenere il vero asse portante del film. Da ciò si deduce come non sia l’avversione al neonazismo lo spunto di partenza del film, quanto piuttosto l’adesione alla tematica omosessuale.
Bene, non ci scandalizziamo certo per una cosa che rientra a pieno titolo nella libertà di espressione: ci sembra però, sia durante la visione del film che ripensandoci a mente fredda, che stranamente sia proprio il neonazismo ad essere rappresentato con maggior forza e credibilità in tutta la sua stupida violenza e in tutto lo stupido furore ideologico. L’omosessualità, che piove dall’alto senza una motivazione che possa apparirci credibile, è un di più forzato e complesso che invoca naturalezza e semplicità.
Tanto per farci capire, il neonazismo è il contenitore credibile e attuale nel quale l’inspiegabile amore travolgente di Jimmy e Lars assume il ruolo prevedibile di vittima sacrificale. Insomma, il retroterra ideologico è dettagliato e consistente almeno quanto la tematica sentimentale assume l’apparenza e la sostanza di una necessità interiore che non ha bisogno di spiegazioni né di perché.
Tutto questo, se come pensiamo ha un fondamento autobiografico, non fa che togliere vigore a un’opera che avrebbe potuto essere assai più dura e incisiva invece che soltanto astutamente propagandistica. Astutamente, sì, perché riesce con grande abilità a far passare per coraggio una semplice e discutibile tendenza del corpo e dello spirito che, per darsi adeguata visibilità, deve contrapporsi necessariamente a qualcosa che nessuno esiterà ad indicare come peggiore. Se c’è gente che uccide, come può il mio amore essere una colpa?
BROTHERHOOD (Broderskab) di Nicolo Donato. Con Nicolas Bro, Thure Lindhart, David Dencik, Claus Flygare. DANIMARCA 2009; Drammatico; Colore