«BROKEN FLOWERS»

DI FRANCESCO MININNINel 1979 Joan Tewkesbury, la sceneggiatrice di «Nashville», diresse «Old Boyfriends», in cui Talia Shire andava alla ricerca dei suoi amori adolescenziali (Richard Jordan, Keith Carradine, John Belushi) per capire il proprio passato. Ciò che fa Don Johnston (cioè Bill Murray) in «Broken Flowers» di Jim Jarmusch è simile, ma con finalità opposte. Avendo ricevuto una lettera, non firmata, da una sua ex, Don apprende di avere un figlio diciannovenne che lo sta cercando. Per lui la questione sarebbe chiusa lì: ma l’insistenza del vicino Winston lo induce a fare una lista delle possibili madri e poi ad andarle a cercare per capire chi potrebbe essere quella giusta. L’iniziale curiosità piano piano si trasforma in necessità: indagando il passato, Don comincia a capire il proprio presente. E il figlio rimarrà un desiderio inespresso.

Jim Jarmusch è sicuramente uno degli indipendenti di punta del cinema americano. Anche quando, come in questo caso, si assume i rischi di una storia che potrebbe portarlo a conclusioni scontate, convenzionali o banali. Ciò che rende «Broken Flowers» (ovvero «fiori spezzati») un film di valore è invece proprio l’ottica con la quale l’autore affronta il percorso di Don Johnston (con la «t», tiene a precisare il protagonista): né autocommiserazione né disperazione né tragedia. Una semplice malinconia che individua la tristezza di una vita spensierata ma superficiale di una persona che comunque non rinuncia ad andare avanti. Sarà con tutta probabilità un avvenire fatto di illusioni e manie, che rappresenteranno comunque una ragione di vita. L’elemento fondamentale di questo percorso è Bill Murray che, con la sua recitazione priva di toni accentuati e di climax, rende perfettamente l’idea di un uomo in pieno invecchiamento che comincia a scoprire qualcosa su se stesso e sulla vita. Con il contributo indispensabile di quattro ex-amori: una vedova un po’ svanita (Sharon Stone), una coniugata malinconica e smarrita (Frances Conroy), una dottoressa che dialoga con gli animali (Jessica Lange) e una scorbutica in disfacimento che vive ai margini della società (Tilda Swinton). Jarmusch racconta tutto questo con una leggerezza che non scivola mai nel pressappochismo. Continuando a tifare per chi vive alla giornata senza darsi arie da filosofo, l’autore riesce a dominare una materia insidiosa con ironia e con una sincerità di fondo che rendono «Broken Flowers» un ottimo esempio di minimalismo costruttivo. Convincendo tre star a calarsi nei panni di gente comune, Jarmusch prosegue su una strada che da venticinque anni a questa parte mantiene stile e coerenza. Come le lunghe dissolvenze in nero: sono in «Broken Flowers» (2005), erano in «Stranger Than Paradise» (1984). Il tempo passa, gli autori restano.

BROKEN FLOWERS (Id.) di Jim Jarmusch. Con Bill Murray, Sharon Stone, Jessica Lange, Tilda Swinton, Frances Conroy. USA 2005; Commedia; Colore