Bianca come il latte, rossa come il sangue

Ne «Il tempo dell’amore» l’episodio più bello era quello della ragazzina che passa l’estate in ospedale accanto a un coetaneo in coma, parlandogli e cercando di aiutarlo a risvegliarsi. In «Mai più come prima», ultima opera per il grande schermo prima di una lunga militanza televisiva, la morte di un ragazzo durante un’escursione con i compagni di scuola sulle Dolomiti costringeva tutti a risvegliarsi dall’adolescenza e a predisporsi a entrare nella vita adulta. Certo non è un caso se, otto anni dopo questo film, Campiotti sceglie di ripresentarsi nelle sale cinematografiche con una storia di adolescenti, di amore, di morte e di istruzioni per l’uso, senza che questo comporti alcuna presunzione cattedratica o vocazione predicatoria. A ben guardare, l’unica cosa certa è che Campiotti, che ha trovato nel romanzo di D’Avenia (classe 1977) ampio materiale con cui potersi confrontare, crede fermamente che i giovani d’oggi (che poi, come sempre gli accade, trasforma nei giovani di sempre) sono forse bamboccioni, sono forse inesperti, sono forse ignoranti, ma di sicuro non sono una massa di stupidi da ghettizzare. Obiettivamente, non si può dargli torto.

Leo, liceale sedicenne, ha poca voglia di studiare, molta di amare ed è seriamente convinto che il colore più bello sia il rosso dell’amore e il più brutto il bianco della privazione e della perdita. Da questo schematismo di idee e sentimenti sarà costretto ad uscire inseguendo il sogno (proibito?) dell’amore per Beatrice. La ragazza è ammalata di leucemia e ha bisogno di un trapianto di midollo, per la qual cosa Leo si mette in lista all’ospedale. Al suo fianco Silvia, che lo aiuta nei suoi maldestri tentativi di corteggiamento ma in realtà lo ama da sempre. E al suo fianco anche il professore di italiano, che prima lo martella di citazioni, poi lo induce a sfogarsi con lui sul ring. Ma Leo non può donare il midollo a Beatrice per motivi di compatibilità. Quando spunta un donatore compatibile, la malattia sembra sconfitta. E invece Leo dovrà affrontare la prova più difficile. Beatrice, che è abbastanza sensata da spiegargli la differenza tra passione e amore, morendo gli lascia la possibilità unica di crescere scoprendo di poter essere utile a qualcun altro.

Campiotti sapeva benissimo a quali rischi andava incontro raccontando una storia come questa: lo schematismo, la faciloneria, il sentimentalismo, i piagnistei con l’effetto commozione spinto al massimo. In effetti «Bianca come il latte rossa come il sangue» (un titolo che evoca più letteratura pulp e horror di bassa lega che non il vero obiettivo di romanzo e film) eccede soltanto nelle sottolineature musicali rappresentate dalle canzoni dei Modà, che in un certo senso ribadiscono a parole quanto già chiarissimo dalle immagini. Per il resto, eventuali schematismi riconducibili al personaggio del professore (Luca Argentero) e al rapporto di Leo con i genitori (Flavio Insinna e Cecilia Dazzi), possono essere perdonati in virtù della straordinaria misura che Campiotti dimostra nell’affrontare l’evento luttuoso e persino generiche tematiche adolescenziali che rischiano di essere materiale d’archivio. Giovano molto al film la spontaneità di Filippo Scicchitano (un Leo che ha molti punti in comune con il suo Luca di «Scialla!») e Aurora Ruffino (Silvia), la voglia di utilizzare tutto quanto narrato nel film come elemento di crescita e quindi in direzione molto positiva, l’assenza di qualunque ricatto sentimentale e, soprattutto, un cinema lineare e pulito che riesce addirittura a dare l’impressione della sincerità.

BIANCA COME IL LATTE ROSSA COME IL SANGUE di Giacomo Campiotti. Con Filippo Scicchitano, Aurora Ruffino, Gaia Weiss, Luca Argentero, Flavio Insinna, Cecilia Dazzi.