Bella Addormentata

Credeteci, è tutt’altro che facile parlare di «Bella addormentata» di Marco Bellocchio. Da una parte una certezza: che l’addormentata del titolo non sia Eluana Englaro, ma l’Italia che arranca tra dubbi e ideologie. Dall’altra, però, una corposa stratificazione di argomenti e tematiche che, a lungo andare, rende molto complesso ricondurre il film a una linea unitaria. Alla fine un’intima convinzione: che il film sia molto più politico che interessato a tematiche esistenziali, etiche e, men che meno, spirituali. E che, analizzando con la giusta attenzione i diversi episodi, sia possibile veder riemergere con una certa urgenza le tematiche che a Bellocchio sono storicamente più care e che restano nuovamente irrisolte. Di certo non faremo come quegli uomini politici che, dichiarando di non averlo visto, hanno emesso giudizi «da quello che mi hanno raccontato» o fidandosi di «una persona che stimo mi ha riferito». D’altronde il tema affrontato è troppo importante per permettere giudizi lapidari o preconcetti di alcun genere.

A Udine, in quei giorni del febbraio 2009 che videro concludersi la vicenda terrena di Eluana Englaro, si svolgono alcuni eventi che coinvolgono persone diverse. Il senatore Beffardi, di Forza Italia, deve votare la legge speciale su alimentazione e idratazione, ma è intimamente coinvolto per aver vissuto in prima persona il dilemma dell’eutanasia nell’agonia della moglie. Sua figlia Maria, più per reazione che per intima convinzione, è tra gli attivisti cattolici che pregano davanti all’ospedale, ma non esita ad accompagnarsi allo sconosciuto Roberto, che ha i suoi guai con il fratello caratteriale Pipino. Pallido, medico idealista, prende a cuore il caso di Rossa, una tossicodipendente aspirante suicida. Divina Madre, ex-attrice, si è ritirata per assistere in casa la figlia in coma permanente e, così facendo, ha mandato all’aria il matrimonio e il rapporto con il figlio Federico. Poi Eluana muore e le storie non finiranno: ognuno rimarrà più o meno da solo, chi tormentato dal dubbio e chi sorretto da una speranza.

Ci si chiede, innanzitutto, se «Bella addormentata» sia più un film sul fine vita o sul fine Italia. Certo, la tematica dell’eutanasia è ben presente anche se rischia di scivolare sul pendio dell’accanimento terapeutico mal interpretato. Ma è fuor di dubbio che i tormenti dei personaggi, i loro dubbi, le loro contraddizioni, la loro incapacità di prendere una posizione decisa corrispondente a una scelta di coscienza appartengano per intero all’involuzione di un paese mal consigliato e mal guidato che, secondo Bellocchio, si è rapidamente adeguato perdendo i punti di riferimento e partendo per una deriva che, non riconosciuta come tale, potrebbe rivelarsi quanto mai pericolosa. Quindi l’apparente moderazione con la quale Bellocchio affronta il tema della posizione dell’uomo di fronte al mistero della morte sfocia in realtà in un feroce attacco ideologico a chi ci governa (meglio: a chi ci governava allora), a chi pensò a una legge ad personam per il caso Englaro, a chi ha lavorato assiduamente perché la deriva fosse un processo il più rapido possibile. Qui, in un certo senso, viene fuori il Bellocchio che ci piace meno: quello che in pieno marasma simbolico chiama i personaggi Beffardi, Divina Madre, Rossa, Pallido, «il persuasore» e «lo psichiatra», quello che sceglie un senatore «pentito» di Forza Italia quale emblema di un dubbio vitale e in qualche modo salvifico, quello che diversamente da quanto afferma non sembra mostrare un grande rispetto per certe posizione cattoliche che rappresenta soltanto nelle posizioni più oltranziste, quello che attacca le istituzioni, qualunque esse siano, con il medesimo furore che lo animava agli esordi quasi cinquant’anni fa, quello che sembra costituzionalmente incapace di mettere in scena una famiglia che non sia lacerata da divisioni, incomprensioni e traumi di ogni genere. Non è un caso, secondo noi, che l’unico episodio che si conclude con una nota di speranza sia quello che coinvolge il dottor Pallido («a casa non mi aspetta nessuno») e la tossicodipendente Rossa che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere sola al mondo. Per strano che possa sembrare il meglio di «Bella addormentata» è strettamente legato, al di là dei valori tecnici quali la musica di Carlo Crivelli e la fotografia di Daniele Ciprì, al pudore con il quale Bellocchio si accosta al capezzale dei sofferenti, consapevole che lì ognuno resta solo con se stesso e che davvero diventa più difficile prendere una posizione ideologica. Le lacrime di Isabelle Huppert (Divina Madre) all’annuncio della morte di Eluana, il travaglio di Toni Servillo (Beffardi) di fronte all’agonia della moglie, l’ostinazione di Piergiorgio Bellocchio (Pallido) nel voler vegliare su Maya Sansa (Rossa) che forse ha solo lui al mondo, valgono molto più del gran calderone in cui si dibattono uomini politici, mass media, madri, padri, figli e fratelli che, come spesso accade nei film di un autore comunque in grado di suscitare dibattiti, polemiche e solenni arrabbiature, invece di rappresentare un campionario di esseri umani non rappresentano altro che categorie.

BELLA ADDORMENTATA di Marco Bellocchio. Con Toni Servillo, Isabelle Huppert, Alba Rohrwacher, Michele Riondino, Maya Sansa, Piergiorgio Bellocchio. ITALIA 2012; Drammatico: Colore