«BEING JULIA»

DI FRANCESCO MININNISicuramente William Somerset Maugham sarà ricordato per exploit drammatici come «La luna e sei soldi» o «Il filo del rasoio». Ma una parte non indifferente della sua vasta attività è stata occupata anche da opere brillanti che, pur non venendo meno i connotati drammatici, hanno saputo utilizzare i registri della commedia. «Being Julia» fa parte di questa categoria e il fatto che ad occuparsi della sua riduzione cinematografica sia stato il regista ungherese Istvàn Szabò non deve stupire. Se infatti Szabò è universalmente conosciuto per i suoi drammi storico-psicologici come «Mephisto», «Il colonnello Redl» e «A torto o a ragione», è anche vero che «Being Julia» contiene alcuni elementi (il ruolo dell’artista, il potere dell’artista, il palcoscenico come campo di battaglia) a lui molto congeniali.

Julia Lambert è la dominatrice dei palcoscenici del West End londinese negli anni Trenta. Ma invecchia, se ne rende conto e non gradisce. Così le attenzioni del giovane Tom la fanno illudere per un attimo di aver fermato il tempo. L’attimo dopo, però, Julia torna alla realtà: Tom, oltre a sfruttare Julia per la propria carriera, è innamorato di un’aspirante attrice che ha bisogno di una raccomandazione per debuttare alla grande. E Julia Lambert finalmente capisce che solo sul palcoscenico può dominare gli eventi che stanno per travolgerla: si dimostra disponibile, pretende la ragazza per un ruolo importante nella sua nuova commedia e infine organizza la più raffinata delle vendette.

Szabò, aiutato moltissimo da una bella sceneggiatura di Ronald Harwood («Il pianista»), mette in scena con acume psicologico e ricchezza scenografica l’eterna vicenda del palcoscenico e della vita, dei loro scambi, del cinismo e della cattiveria di un mondo egoista, ma soprattutto di un’attrice che prima di sprofondare nel vuoto capisce che soltanto come attrice potrà sconfiggere il mondo. A ben guardare in «Being Julia» non c’è alcunché di rassicurante, propositivo e francamente sorridente. Szabò tiene a sottolineare che Maugham non aveva alcun retrogusto buonista e che l’unica arma per affrontare un mondo cinico è il suo stesso cinismo. Quindi, da una parte assistiamo all’elogio dell’attore come dominatore della scena (che per l’attore è il mondo), dall’altra alla sua condanna come spietato utilizzatore delle armi che la natura gli ha dato. «Being Julia» si nutre di questa straordinaria ambiguità riuscendo nella difficile impresa di non compiacersene, che l’avrebbe fatto scivolare verso una pericolosa dichiarazione di simpatia.

Annette Bening dovrebbe dominare la scena, ma ci viene il sospetto che questo accada soltanto in virtù del magnifico doppiaggio di Mariangela Melato. A fianco, Jeremy Irons e Bruce Greenwood mettono in campo esperienza e ironia. Ma a rubare la scena a tutti è un impeccabile Michael Gambon in versione fantasma: i suoi aforismi su teatro e vita rappresentano il manifesto stesso di una vicenda che l’ambientazione retrodatata non priva di un briciolo d’attualità.

BEING JULIA (Id.) di Istvàn Szabò. Con Annette Bening, Jeremy Irons, Bruce Greenwood, Michael Gambon. USA/GB/CAN/HUN 2005; Commedia; Colore