BASTA CHE FUNZIONI
DI FRANCESCO MININNI
Si dirà che Woody Allen pecchi in molte cose, ma non in coerenza. Il suo essere «ebreo di nascita, ma convertito al narcisismo», d’altronde, è un contenitore nel quale può entrare di tutto. Soprattutto il sempre più disperato tentativo di attestarsi su posizioni rigorosamente nichiliste che un qualunque attento esame potrebbe facilmente smontare. Ma lui no: lui, tornando a New York dopo tre film europei, realizzando «Basta che funzioni» ripropone il proprio mondo di gente bizzarra, fuori schema, apparentemente anticonformista, preoccupandosi come priorità assoluta di riaffermare a chiare lettere che il determinismo non esiste e che tutto, proprio tutto è affidato al caso. Il bello è che le sue convinzioni, se filtrate attraverso un’ottica o un credo diversi, cambierebbero completamente di significato. Anzi, ne assumerebbero uno. Lui lo sa benissimo. Sa che tra nichilismo e, ad esempio, fede intercorre una linea sottilissima che chiunque può varcare a piacimento. E si diverte da matti a giocare a ping pong con l’esistenza propria e altrui sfoggiando una cultura che, in considerazione del fatto che tutto finirà, induce a chiedersi: perché? Ovverosia: chi me lo fa fare?
Boris Yellnikoff, ex-fisico di fama, già aspirante suicida, divorziato, domiciliato al Village e maestro di scacchi per alunni poco ricettivi, è seriamente convinto di essere un genio, di avere (lui solo) una visione d’insieme, di essere comunque destinato a scomparire e di volersi accontentare di qualunque cosa possa essere strappata nel corso di un’esistenza a un mondo popolato di «vermetti». Qualunque cosa, basta che funzioni. Così gli tocca Melodie St’Ann Celestine, venuta dal Mississippi, stranamente disposta ad innamorarsi di lui e, al momento buono, ad innamorarsi di qualcun altro. Nel frattempo, nel valzer delle coppie, entrano due amici di Boris, i genitori separati di Melodie, un gay e una signora che passava in strada con il cane. Il tutto potrebbe essere semplicemente un passo in più verso la morte.
Il fatto che la sceneggiatura di «Basta che funzioni» risalga più o meno a trent’anni fa e fosse inizialmente destinata al grande Zero Mostel (il che significa che Woody Allen è esistenzialista dalla nascita) non cambia la realtà dei fatti: Boris Yellnikoff, interpretato con straordinaria ironia dalla star televisiva Larry David, è a tutti gli effetti Woody Allen. Sul perché Woody non l’abbia interpretato di persona si accettano scommesse, anche se l’ipotesi più concreta è legata al fatto che così facendo avrebbe dovuto ammettere pubblicamente di essere un vecchio. Di certo il suo spirito caustico è immutato, in qualche caso pericolosamente tendente alla maniera. Eppure non si può fare a meno di lasciarsi avvolgere dai suoi ragionamenti (per contestabili che siano) e soprattutto fulminare dalle sue battute. Come quando, risvegliato bruscamente da un incubo notturno, Boris si lascia confortare da Melodie che gli propone di guardare la televisione. «Ho visto l’abisso» dice lui. E lei, impugnando il telecomando, risponde: «Mettiamo qualcos’altro». Finché non ci si rende conto che la cosiddetta commedia di Woody Allen è in realtà un treno diretto verso l’angoscia e che quindi c’è ben poco da ridere, non si può non rendere omaggio a un autore che a ben guardare, nell’impossibilità di sconfiggere la paura della morte (fine di tutto? inizio di qualcosa?), continua a scherzare con tutto, forse prima di tutto con se stesso. E che, essendosi reso conto dell’insuperabilità delle proprie nevrosi, delle proprie fobie e delle proprie incertezze, si diverte a spargerle a piene mani nell’inconfessata speranza di contagiare quanta più gente possibile. Come se andare verso il nulla in compagnia fosse meno triste che andarci da soli.
BASTA CHE FUNZIONI (Whatever Works) di Woody Allen. Con Larry David, Evan Rachel Wood, Ed Begley jr., Patricia Clarkson. USA 2009; Commedia; Colore