Assandira

Assandira è un dramma popolare attraversato da venature noir, che dovrebbero rafforzare il percorso antropologico di Mereu e che invece forse lo indeboliscono. Si converrà che il film è sorretto da una forza interiore, da una passione, da una sorta di furia che vengono direttamente dall’autore al momento in cui decide di voler raccontare una Sardegna antica che improvvisamente accetta di scendere a compromessi di ogni genere per soddisfare le richieste di quelli che vengono da fuori, siano essi turisti o imprenditori. Quella stessa passione, però, conduce Mereu a una sorta di bulimia narrativa che accumula trame e sottotrame pensando così di rafforzare l’assunto e ottenendo invece il risultato di enfatizzare ciò che avrebbe tratto giovamento dall’essenziale e dal rigore.

Si comincia dalla fine: Costantino Saru, settantenne, si aggira tra i resti fumanti della sua proprietà, Assandira, dopo l’incendio doloso che l’ha distrutta provocando anche la morte di suo figlio Mario. L’inchiesta del giudice Pestis, che mostra per Costantino un grande rispetto, fa ripercorrere la vicenda dal momento in cui Mario, tornato dalla Germania con la moglie Grethe, propone al padre un affare sicuro che dovrebbe risolvere ogni problema economico. Assandira diventerà un agriturismo soprattutto per stranieri, che non vedono l’ora di conoscere la Sardegna dei pastori, la natura selvaggia, le albe e i tramonti “dal vivo”, il formaggio autoprodotto e la grigliata di maiale (o porceddu). E Costantino, che è stato pastore, non capisce a chi possa interessare quel tipo di spettacolo (“Non si può fare gioco una cosa che è seria”), ma si presta per amore del figlio. E ad altro ancora dovrà prestarsi prima di decidere che quello spettacolo non fa per lui.

Assandira secondo alcuni è una parola di derivazione sumera e significa “saluto al sole”. Secondo altri (Costantino compreso) significa “essiccante”. Al di là di questo (anche se preferiamo di gran lunga il significato di Costantino), significa qualcosa di antico che nel momento in cui rinunzia alle radici diventa troppo misterioso per poter essere chiarito. Tutto il film, in realtà, poggia sul grande contrasto tra passato e futuro, che è una lotta tipica di quelle civiltà dalle forti tradizioni costrette dal semplice scorrere del tempo ad adeguarsi ai tempi nuovi. Accade così che il futuro finisca per stritolare il passato, in un certo senso senza passare dal presente. Costantino è interpretato da Gavino Ledda, prima pastore poi scrittore di fama mondiale grazie a Padre padrone. Ci sembra significativo il fatto che il percorso del suo personaggio sia esattamente opposto a quello autobiografico del libro: là un figlio si opponeva al padre per seguire la propria strada che non era quella voluta dal genitore, qui un padre finisce per snaturarsi per favorire il progetto di un figlio che vede nella terra soltanto una fonte di facile guadagno. E Ledda ha un’intensità e una dignità che colpiscono. Mereu, però, vuole andare oltre e inserisce una trama secondaria importante che riguarda la maternità desiderata dalla nuora, le difficoltà del figlio a raggiungere lo scopo e la necessità di seguire procedure scientifiche moderne per soddisfare la richiesta. Così Assandira smette di essere un documento sociale e diventa un melodramma estremamente pesante. Senza contare che tutti attendono la soluzione dell’inchiesta senza realizzare che è già molto chiara quasi dall’inizio. Troppa carne al fuoco per un buon film che avrebbe potuto essere migliore.

ASSANDIRA di Salvatore Mereu. Con Gavino Ledda, Anna König, Marco Zucca, Corrado Giannetti, Samuele Mei. ITALIA 2020; Drammatico; Colore