«ARRIVEDERCI AMORE, CIAO»

DI FRANCESCO MININNILe prime inquadrature di «Arrivederci amore, ciao» ci parlano di molte cose. Di un autore, Michele Soavi, che dopo undici anni di televisione aveva un gran bisogno di cinema. Di un personaggio, Giorgio Pellegrini detto Giorgino, pronto a passare dal terrorismo militante alla delinquenza comune senza remore ideologiche o morali, quasi fosse una naturale evoluzione. Di un eroe da romanzo noir che, per magia, si spoglia di ogni alone romantico trasformandosi in una «semplice» carogna. Di un mondo in cui, abbattute le ultime barriere etiche, il cattivo (in assenza di buoni) può anche vincere. E soprattutto di un gelo nichilista che prende le redini del potere e tiene a distanza ogni residuo di umanità.

Non è un film che lascia indifferenti. «Arrivederci amore, ciao», anche quando percorre strade già battute, trova il modo di sorprendere: o con una particolare cifra stilistica che Soavi possiede e sa applicare, o con qualche citazione stravolta (la fine di Roberta, che è quella che avrebbe fatto Ingrid Bergman in «Notorious» senza l’intervento di Cary Grant), o con la martellante idea di fatalismo che, in fondo, ci fa pensare che non esistessero altre strade percorribili. Il tranello in cui bisogna evitare di cadere è quello rappresentato dal passato militante di Giorgino e dal suo rapporto con il funzionario della Digos Anedda: il film non è né una storia di attualità politico-criminale né un poliziottesco come quelli che si facevano negli anni Settanta. È un noir.

Il percorso di Giorgino dalla militanza alla microcriminalità, poi alla complicità con funzionari corrotti, quindi a una parvenza di rispettabilità che possa aprirgli le porte alla riabilitazione, infine al delitto più spietato che prelude al suo rientro nei ranghi della società borghese, è presentato da Soavi con uno stile incisivo, mai comune. La fotografia e il montaggio passano con eleganza dai chiaroscuri del noir classico alla più moderna scansione tipica dei fumetti. L’uso della musica è strettamente funzionale alle immagini: sia quando Andrea Guerra compone temi propri sia quando si ricorre a canzoni popolari molto conosciute e usate come «La notte» di Adamo e «Insieme a te non ci sto più» di Caterina Caselli. Quest’ultima soprattutto, oltre a dare il titolo al film, ne rappresenta il leit-motiv esistenziale e contrappunta con una sorta di ironia malinconica i momenti più drammatici.

In quella che, a conti fatti, potremmo definire un’esplosione di cinema, emerge tuttavia un dato che stona. A un Michele Placido impeccabile nel ruolo di Anedda, a una Isabella Ferrari essenziale e fuori schema in quello di Flora, fa riscontro un protagonista, Alessio Boni, che in un contesto forte e marcato come quello voluto da Soavi riesce ad andare sopra le righe. Tra tutti gli attori del film, è l’unico che dà l’impressione di recitare.

«Arrivederci amore, ciao» non si raccomanda a un pubblico abituato ai compromessi riposanti. Tratto da un libro-cult di Massimo Carlotto, che recentemente è diventato anche un fumetto, ci permette di ritrovare un autore che, anche quando era confinato nei limiti dell’horror («Deliria», «Dellamorte Dellamore»), dava già del tu alla macchina da presa.

ARRIVEDERCI AMORE, CIAO di Michele Soavi. Con Alessio Boni, Isabella Ferrari, Michele Placido, Carlo Cecchi. ITALIA 2006; Thriller; Colore