Arene estive, istruzioni per l’uso

DI FRANCESCO MININNISe è vero che l’estate è il tempo della villeggiatura e che il cosiddetto esodo coinvolge (più o meno nello stesso periodo, il che interferisce pesantemente con il traffico e con il sistema nervoso) milioni di italiani, è anche vero che non sono pochi quelli che restano in città un po’ per motivi squisitamente economici (ma non lo ammetteranno mai, a meno che non dormano abitualmente sotto un ponte o alla stazione centrale), un po’ perché l’agosto in città, caldo a parte, può essere veramente bello. E non contiamo tutti gli occasionali e avventizi, ospiti di una sera o di un periodo di vacanza: perché, è bene ricordarlo soprattutto a chi ci amministra, Firenze resta ancora una mèta prediletta di viaggiatori che meriterebbero un’accoglienza di prim’ordine e spesso trovano soltanto prezzi alle stelle.

Dunque, se è vero che la città diminuisce di nativi, è pur vero che non è più, come si diceva una volta, deserta. Il che è testimoniato anche dal costante impegno dei programmatori delle arene estive, che offrono a fiorentini e non un’ampia scelta cinematografica per riempire le notti d’estate: in alcuni casi puntando soltanto sul richiamo spettacolare, in altri cercando di bilanciare a una programmazione commerciale un’altra più impegnativa (riempiendosi la bocca, si dice «alternativa»), in altri infine andando quasi a casaccio nella consapevolezza che lo spettatore del cinema all’aperto è sovente più interessato alla ricerca di un po’ di refrigerio piuttosto che a una proposta cinematografica ragionata.

Le istruzioni per l’uso, che nella sostanza restano le stesse di sempre, mutano nei dettagli un po’ per il diverso valore dei film proposti, un po’ per le motivazioni che possono spingere a consigliare o a sconsigliare un film piuttosto che un altro. L’istruzione di fondo, tuttavia, non cambia: andare a cercare in un film anche brutto quella buona idea che, se adeguatamente sviluppata, avrebbe potuto cambiare le cose. Si chiama ottimismo.

Lo spettacolo più spettacolare e meno intelligente è guidato senza ombra di dubbio da Troy di Wolfgang Petersen, che dimostra come la prosopopea americana abbia raggiunto livelli tali da essere in grado di trasformare l’Iliade di Omero in una sottomarca della guerra del Golfo. Dopo molti film di livello quasi ottimale, i fratelli Coen inciampano in Ladykillers, soprattutto perché spostando l’azione in America ma mantenendo intatta l’ossatura de «La signora omicidi di Mackendrick», causano uno scontro di culture capace di fare qualche vittima. Subentrando a Chris Columbus nella regia, il messicano Alfonso Cuaron non riesce a far decollare il maghetto: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban prosegue sulla strada della sottocultura adolescenziale con molti effetti speciali e poche idee innovative.

Naturalmente c’è anche lo spettacolo di altissimo livello. Peter Jackson conclude a suon di battaglie la saga de Il Signore degli Anelli con Il ritorno del Re, dimostrando come anche un classico complesso quale il romanzo di Tolkien possa trovare adeguata rappresentazione cinematografica. Attendiamo la versione estesa in Dvd per capire che fine possano aver fatto Saruman (Christopher Lee) e Vermilinguo (Brad Dourif). Un kolossal di mare poteva essere un’operazione rischiosa per un regista raffinato e «tra le righe» come Peter Weir: e invece Master & Commander / Sfida ai confini del mare si inserisce perfettamente nella poetica dell’autore, con la fase della crescita, il grande rapporto con la natura e tutta la distanza che può esistere tra senso del dovere e sete di conoscenza.

Clint Eastwood, portando a completamento un lento processo di maturazione d’autore, realizza con Mystic River il suo film più bello e intenso: una storia di infanzia perduta, di conti da saldare e di pezzi (della vita) che non riescono ad andare al posto giusto, con il contributo essenziale di un terzetto di protagonisti (Sean Penn, Tim Robbins e Kevin Bacon) da applausi.

Poi ci sono le anomalie. Lars von Trier, con Dogville, utilizza tematiche e scenografie brechtiane per raccontare la violenza, la sopraffazione e la vendetta: un film impegnativo e tutt’altro che riposante. Tim Burton, con Big Fish, racconta se stesso con una sincerità abilmente nascosta nelle pieghe di una vicenda apparentemente surreale e grottesca. Sofia Coppola, con Lost in Translation, racconta con sensibilità e precisione come ci si possa sentire soli nel mondo più affollato e quanto sia indispensabile una mano cui aggrapparsi.

E Mel Gibson? Beh, La passione di Cristo va ben oltre ogni polemica e ogni tentativo di strumentalizzazione. Errori a parte (chi non ne ha fatti?), il suo film è un tentativo di raccontare Gesù attraverso la sofferenza fisica delle ultime ore di vita, con una forza e un impegno che fanno capire molte cose. Soprattutto che le vie del Signore sono infinite.

Se amate le cinematografie emergenti o lontane, consigliamo il coreano Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera di Kim Ki-duk e l’iraniano Oro rosso di Jafar Panahi.

Se invece non potete fare a meno degli italiani, si va dall’inossidabile commedia di Carlo Verdone L’amore è eterno finché dura al dramma adulto di Sergio Castellitto Non ti muovere all’interessante tentativo di accostare cinema e vita in Dopo mezzanotte di Davide Ferrario. Con molto rispetto per Pupi Avati e il suo sequel La rivincita di Natale e un occhio di riguardo per la straordinaria poesia di Ermanno Olmi in Cantando dietro i paraventi.

Se infine non potete fare a meno del cinema, andate a vedere quel che vi pare e concentratevi al massimo per cercare quella famosa buona idea. Se proprio non doveste trovarci niente, fatecelo sapere. Naturalmente ai primi di settembre.