Amour

L’amore di Georges e Anne è di quelli che resistono al tempo, inossidabile e capace di rinnovarsi continuamente. Anche se la vita ci mette del suo, costringendo Anne prima alla malattia con un’operazione non riuscita, poi alla paralisi della parte destra del corpo, quindi a un principio di demenza che costringe Georges a rivolgersi a infermiere professioniste, l’amore non viene mai meno. E Georges, che ha promesso alla moglie di non farla tornare in ospedale (sapendo che si sarebbe trattato fatalmente di una struttura per anziani), di fronte al progressivo sgretolamento fisico e mentale della donna che ama dovrà prendere la decisione più dolorosa e irreversibile.

«Amour», che pure viene da un autore sovente provocatorio, polemico e persino sgradevole, non è certo un film sull’eutanasia. Sul fine vita sì, ma intendendo con questo il percorso di due persone che si accompagnano reciprocamente all’ultimo passo. E non è neppure un film che costringa a una presa di posizione, perché tutto quello che rappresenta lo fa risalire costantemente alla radice dell’amore. In sostanza, Haneke racconta una vicenda individuale che accade in quel momento in quella parte di Francia e che non implica né appendici legali né valutazioni moralistiche. Facendosi accompagnare da due attori meravigliosi, Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, racconta la storia di un amore che, a tutti gli effetti, non finisce con la morte. E lo racconta senza mai intervenire con trovate di regia, virtuosismi dei quali pure sarebbe capace, disquisizioni teoretiche o tavole rotonde: si limita, verrebbe da dire semplicemente quando in realtà di semplice c’è ben poco, a entrare nell’intimo più profondo di un uomo e una donna per i quali sembra non poter esistere altra alternativa che amarsi oltre ogni confine. Tanto per capirsi: chi è favorevole o contrario all’eutanasia non sarà agevolato o ostacolato nella visione del film.

Da entrambe le parti potrà arrivare un giudizio favorevole che, a ben guardare, non riguarderà il problema etico ma piuttosto la straordinaria rappresentazione cinematografica. E alla fine, ognuno rimarrà sulle proprie posizioni. In questo senso «Amour» è il film più moderato di un autore che in altri casi ha dato l’impressione di lavorare con il preciso intento di bersagliare il pubblico con una serie di ganci allo stomaco. E che questa volta, invece, ha lavorato sugli sguardi, sui movimenti, sugli ambienti, senza risparmiare colpi durissimi ma anche senza mai dare l’impressione che fosse quello il mezzo e il fine della sua opera. Dobbiamo dire che il ritorno di Jean-Louis Trintignant ci riempie di gioia: un po’ perché corrisponde in tutti i sensi al suo ritorno alla vita, un po’ perché nessuno meglio di lui avrebbe saputo rendere la quieta, lancinante, progressiva discesa di Georges verso la decisione più dolorosa. E d’altro canto Emmanuelle Riva (impossibile non ricordarla in «Hiroshima mon amour» di Resnais) è riuscita a trasmettere la decadenza di Anne con una naturalezza che ha dell’incredibile.

Non è un caso se, annunciando la vittoria del film a Cannes, Nanni Moretti ha tenuto a sottolineare il contributo essenziale dei due attori principali. C’è anche Isabelle Huppert, la figlia Eva, che alla fine torna nella casa vuota e siede nel salone da sola. Pensando, forse, a quanto grande sia stato l’amore dei genitori e se mai qualcuno sarà in grado di comprenderlo o addirittura replicarlo. A suo modo, «Amour» è un film ricco di speranza.AMOUR (Id.) di Michael Haneke. Con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, William Shimell, Rita Blanco. F/A/D 2012; Drammatico; Colore