Al di là delle montagne
Il cinema cinese più conosciuto all’estero è paradossalmente quello più censurato in patria. Da una parte le riflessioni amare di Zhang Yimou sulle conseguenze irreversibili della rivoluzione culturale («Lettere di uno sconosciuto»), dall’altra la critica senza mezzi termini che Jia Zhang-Ke rivolge alle nuove frontiere economiche che finiscono per annullare l’importanza dell’individuo e dei rapporti personali. Al di là delle montagne suona in originale come «I vecchi amici sono come la montagna e il fiume». Ciò dovrebbe significare qualcosa di immutabile. Invece il tempo e gli obiettivi cambiano tutto, per arrivare a una sorta di perdita d’identità che nessuna buona intenzione riuscirà a modificare. Il messaggio è chiaro e senza fronzoli. Proprio per questo Jia Zhang-Ke non è particolarmente apprezzato dal regime, che gradisce artisti più inquadrati e meno polemici.
Tutto comincia nel 1999, a un passo dal nuovo secolo. A Fenyang, mentre la Cina si appresta a tornare sovrana su Macao, la giovane Tao è corteggiata da un operaio, Liangzi, e dal proprietario di una stazione di servizio, Zhang Jinsheng, che diverrà poi proprietario della miniera di carbone. Tao sceglie il secondo e il matrimonio dura poco. Hanno un figlio, Dollar, che viene affidato al padre, cresce a Pechino e poi si trasferisce in Australia. Quando raggiunge la maggiore età, avvertendo uno strappo netto con il padre ormai in bancarotta (anche per la lingua: il padre parla solo cinese, Dollar solo inglese), vorrebbe andare a cercare la madre, rimasta a Fenyang. Sarà soltanto un’intenzione e ognuno rimarrà solo in luoghi diversi.
Zhang-Ke ha un forte senso dell’immagine e riesce a creare atmosfere servendosi di poco. Un fiume ghiacciato, i fuochi artificiali, una ciminiera, un tempio. Su sfondi estesi nei quali i personaggi finiscono per perdersi, l’autore procede per blocchi narrativi (tre) contraddistinti dal diverso formato dell’immagine. Prima, quando la donna e i due corteggiatori si frequentano, in 4/3, di modo che qualcuno resti sempre escluso dall’inquadratura. Poi, quando Dollar è bambino, in panoramico, dove nessuno è escluso perché i protagonisti dell’inquadratura non sono mai più di due alla volta. Infine, quando Dollar è maggiorenne in Australia, in cinemascope, di modo che l’isolamento e la solitudine diventino di grande formato. E, strada facendo, cosparge la storia di particolari simbolici che hanno anche lo scopo di segnare lo scorrere del tempo.
Le costanti rimangono due, legate al commento musicale. Tutti ascoltano «Go West» dei Pet Shop Boys, un brano disco molto in voga negli anni Novanta quando serviva a far scendere tutti in pista per il ballo collettivo finale. E qualcuno ascolta «Take Care» di Sally Yeh, cantonese, che parla di una separazione che comunque non cancellerà i bei momenti vissuti insieme. Da una parte il sogno dell’Ovest, cioè l’espansione su altri mercati. Dall’altra tutto quel che ci si lascia alle spalle, che riguarda il privato e che rimane sul cammino. Poi le riflessioni (chiamiamole così) di Jinsheng: in Cina il possesso delle armi è illegale, mentre in Australia se ne possono acquistare quante se ne vuole. Peccato che non ci sia nessuno cui sparare.
E infine la doppia direttrice femminile del racconto: da una parte Tao, che resta a Fenyang e invecchia da sola continuando a ballare «Go West»; dall’altra Mia, più o meno sua coetanea, che Dollar sceglie come compagna e che evidentemente rappresenta una figura sostitutiva (ma non edipica) che dovrebbe impedire che il filo sottile che lega il ragazzo al passato si spezzi. Ma la madre, appunto, balla da sola. Tutti hanno preso strade diverse che difficilmente torneranno ad incrociarsi. Al di là delle montagne è un film che, dal 1999 al 2014 al 2025, lega il passato al presente ipotizzando un futuro tutt’altro che roseo ma perfettamente conseguente. E Zhang-Ke è un cinese pensante che conosce la storia e racconta ciò che vede.