AGORÀ
DI FRANCESCO MININNI
Dio, com’erano cattivi i primi cristiani. Alejandro Amenàbar, regista cileno naturalizzato spagnolo, ha sempre giocato duro e continua a farlo. Prima, in «The Others», immaginando dei morti che non sanno di esserlo e configurando una rilettura pagana dell’horror. Poi, in «Mare dentro», raccontando la vicenda vera di un tetraplegico che, cammin facendo, si infuria con un sacerdote reo soltanto di esserlo andato a trovare.
E ora, in «Agorà», raccontando la storia vera di Ipazia, filosofa alessandrina vissuta tra il IV e il V secolo dopo Cristo, studiosa della cosmogonia e del movimento dei pianeti, morta lapidata dalla folla su istigazione dei monaci cristiani chiamati parabolani, colpevoli anche della distruzione della preziosa (ma pagana) biblioteca di Alessandria. Le cose sono andate così e chi sia interessato a raccontarle non dovrebbe aggiungere né togliere alcunché. Amenàbar di certo non toglie, ma sicuramente aggiunge. Considerando il periodo favorevole per la caccia al cristiano, dipinge la comunità paleocristiana come un covo di fondamentalisti che, gridando «Dio è con noi» (ohibò, che tradotto in tedesco suona «Gott mit Uns»), approfitta dell’ufficiale riconoscimento da parte dell’imperatore Teodosio (editto di Tessalonica) per fare piazza pulita di avversari e oppositori. Così gli ebrei cadono sotto i colpi dei lanciatori di pietre e i pagani sono costretti alla fuga e al silenzio. Il tutto è orchestrato da un perfido vescovo di nome Cirillo che, ben comprendendo l’importanza delle connessioni tra religione e potere politico, tira dalla propria parte il prefetto romano costringendolo, se non all’accordo, certamente al silenzio.
In tutto questo risplende evidente la scarsa lungimiranza (che diventa sospetto insabbiamento) della gerarchia ecclesiastica: altrimenti non si spiegherebbe il fatto che quello stesso Cirillo sia stato successivamente santificato (si festeggia il 27 giugno) e proclamato nel 1882 dottore della Chiesa universale. Tutto questo, nei piani di Amenàbar, dovrebbe portare alla più ovvia delle conclusioni: guardate su quali basi si sono gettate le fondamenta della Chiesa, quella stessa che ancora oggi, nonostante scandali finanziari, pedofilia e malefatte di ogni genere, continua ad essere l’unica (perdonateci il termine) ideologia sopravvissuta allo scorrere dei secoli. La risposta, per noi semplicissima, è che se anche tutto questo fosse avvenuto nelle esatte modalità descritte dall’autore, non sono queste le fondamenta della Chiesa: è Cristo, che ha le spalle molto più forti di quanto i suoi detrattori (e talvolta anche i suoi seguaci) pensano. Tanto furore ideologico sottrae ad «Agorà» un naturale vigore che gli deriva da una splendida ricostruzione ambientale: l’Alessandria ricostruita a Malta suscita ammirazione e persino emozione, facendo pensare che i 50 milioni di euro del budget siano stati veramente ben spesi e cancellando d’un colpo il ricordo di un altro kolossal pseudo storico girato nei medesimi luoghi, «Il gladiatore» di Ridley Scott.
E anche l’Ipazia di Rachel Weisz, donna coraggiosa e incurante di razze e religioni, è un personaggio ben delineato e sicuramente molto ben interpretato da un’attrice che si fatica a identificare con la stessa protagonista de «La mummia» (unico punto di contatto: l’abbonamento all’antichità). Peccato che questi meriti non indifferenti inciampino nella prevenzione ideologica, in qualche sospetto di falsificazione di alcuni dati e in una attualizzazione che sembra francamente poco sostenibile. Se poi è vero che c’è stata da parte della Chiesa (che vuole sempre dire: di una parte di essa) qualche manovra per impedire che «Agorà» fosse distribuito, potremmo suggerire agli eventuali responsabili di dare un’attenta occhiata in casa propria prima di lanciarsi in inutili crociate il cui effetto boomerang potrebbe essere più devastante dell’ipotetico pericolo da scongiurare.
Il cinema può suscitare opinione, polemica, indignazione, rabbia e persino violenza. Quel che non può fare, invece, è cambiare la storia. In quel campo c’è sempre qualcuno che ne sa più di Amenàbar.