’71
Quello di «’71» è un esordio di cui tenere conto. Yann Demange, parigino trapiantato a Londra, ha inteso affrontare il conflitto irlandese senza la volontà della ricostruzione storica e neppure pretendendo di capire da quale parte stesse il torto e da quale la ragione.
Ciò, in partenza, lo allontana da inevitabili ambiguità e da esibizione di opinioni che sarebbero comunque contestabili. Con il suo film, invece, costruito come un thriller e ambientato tutto in una notte, costringe il pubblico a prendere atto del fatto che una guerra, che come in questo caso rischia di non finire mai, è terreno ideale per la morte degli ideali, dell’innocenza e dei buoni propositi.
Con uno stile privo di qualunque raffinatezza, in modo che il pubblico si trovi in qualche modo al centro dell’azione senza mediazioni tecniche o spettacolari, Demange sembra seguire i propri personaggi alla ricerca di una speranza che non riuscirà a trovare, soffermandosi su una conclusione che sembra adombrare la fuga come unica possibilità di non lasciarsi coinvolgere dai giochi dei potenti. I potenti, in questo caso, sono quel che passa il convento: da una parte protestanti (graditi agli inglesi) e cattolici, impegnati in un conflitto infinito, dall’altra l’IRA che, invece di essere un fronte compatto, mostra divisioni che non fanno altro che favorire il nemico, dall’altra ancora gli inglesi, che non mostrano di avere alcun interesse per una rapida soluzione del conflitto. Tutti gli altri, che potenti non sono, siano essi reclute o donne del popolo o bambini o idealisti, non possono fare altro che giocare con le regole stabilite da altri e rendersi conto ben presto che cosa possa significare una vita che non è altro che attesa della morte.
La storia, non necessariamente vera ma realistica, è quella della recluta Gary Hook (e di tanti suoi coetanei) che si ritrova in Irlanda, a Belfast, in attesa di ordini. Mentre cattolici e protestanti insanguinano le strade, Hook resta isolato dal reparto e, dopo la morte di un commilitone, solo in terra straniera. Ferito, non sa di chi fidarsi. Naturalmente tutti gli danno la caccia. Chi, come Boyle, per aiutarlo a tornare in caserma. Chi invece, come Quinn, per ucciderlo. E i suoi, che dovrebbero salvarlo, sono guidati da qualcuno che ha cara la morte del ragazzo, colpevole di aver visto la connivenza tra inglesi e irlandesi e di essere quindi un testimone troppo scomodo.
«’71» è praticamente un thriller, girato quasi in tempo reale, che è opportunamente presentato in edizione originale con sottotitoli consentendo così una perfetta immedesimazione dello spettatore nella gente e nel luogo. Ma, pur essendo un thriller, non aggiunge alcunché al materiale necessario per raggiungere i propri obiettivi, che non sono né quelli dello spettacolo né della riflessione psicologica e sociale.
L’intento di Demange è quello di mostrare come la guerra sia una schiacciasassi che distrugge quanto trova sul percorso. Distrugge l’innocenza di un ragazzino cresciuto troppo in fretta, i buoni propositi di chi vorrebbe lavorare per la pace, la serenità di giudizio di ragazzi facilmente plagiabili, l’onestà di chi avrebbe la responsabilità delle decisioni. Così ritroviamo al suo interno elementi già presenti in «Orizzonti di gloria», «All’Ovest niente di nuovo» e «Bloody Sunday» senza che questo affievolisca affatto la sua forza e la sua decisione.
Senza retorica, Demange rappresenta ufficiali corretti e ufficiali disonesti, terroristi idealisti e terroristi sanguinari, soldati per vocazione e soldati per forza: tutte parti che contribuiscono a formare un quadro generale da cui si può ben capire come il conflitto irlandese (e tanti allo stesso modo) non riesca a trovare la via della soluzione. Notevole anche il contributo degli attori, poco noti in campo internazionale con l’eccezione di Jack O’Connell (Hook) già visto in «300 – L’alba di un impero» e «Unbroken» di Angelina Jolie. Tutti si calano alla perfezione nell’idea del cinema «di strada» voluta da Demange.