«36 QUAI DES ORFEVRES»
Marchal non è né Jacques Becker né Jean-Pierre Melville (i più duri e amari del noir) e neppure Henri Georges Clouzot, al cui celebre «Legittima difesa» fa riferimento il titolo con l’indirizzo della Polizia centrale di Parigi. Ma è un ex-poliziotto che, tanto per gradire, sa anche costruire immagini di una certa forza. Se «36 Quai des Orfèvres» non racconta niente di nuovo, lo fa con stile.
Per dare la caccia a una banda che assalta furgoni blindati, si incrociano un poliziotto della omicidi e uno dell’antirapina. I due, una volta amici, ora si fanno la guerra e non risparmiano colpi proibiti pur di arrivare primi. La loro testardaggine coinvolgerà inevitabilmente affetti personali e persone innocenti…
«36 Quai des Orfèvres» ha un pregio e un difetto racchiusi nello stesso dato: la presenza di due attori straordinari come il sommesso Auteuil e il sanguigno Depardieu. Mentre nella prima parte la loro guerriglia va di pari passo con le imprese dei fuorilegge, dando vita a un poliziesco esistenziale dal gran ritmo e dalle implicazioni inquietanti, nella seconda il ritmo si allenta bruscamente per fare posto a una discesa all’inferno dove i due poliziotti diventano protagonisti unici più che assoluti. E Auteuil e Depardieu, che sono perfettamente in grado di reggere il confronto, non riescono però a reggere da soli un film che ha accantonato le appendici poliziesche per dedicarsi unicamente a uno scontro di caratteri. Salvo riprendere quota nella parte finale, quando una buona trovata risolutrice ci riporta per incanto ai tempi di «Grisbi», di «Casco d’oro», di «Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide» e de «Lo spione». Ma senza appendici romantiche: chi muore, muore e chi vive resta solo.