2018: salvati per voi

Mi piace cominciare con un film girato per la televisione e quindi mai distribuito in sala: Il fulgore di Dony di Pupi Avati che, ottantenne, ha ancora voglia di parlare di giovani e di un’idea di amore che per forza sottintende una componente spirituale, tutto in direzione contraria a quello che il mondo d’oggi indica e diffonde. Poi Parigi a piedi nudi di Abel & Gordon, una favola surreale e pulita che reclama l’origine circense e dipinge un mondo sognato  sovrapponendolo a una grigia realtà.

L’indipendente Sean Baker, in Un sogno chiamato Florida, è alla ricerca dell’innocenza perduta in un mondo che fa crescere troppo in fretta. Invece Stephane Brizé, tornato all’attualità, riesce a trasformare In guerra in un reportage sul presente. Ne L’atelier Laurent Cantet parla dei giovani, delle differenze tra arte e vita, dei difficili percorsi che portano al rispetto e alla comprensione reciproca.

Nuri Bilge Ceylan, l’uomo delle lunghe durate, ne L’albero dei frutti selvatici va alla ricerca di un dialogo tra generazioni in una Turchia dove i percorsi non sono mai lineari o scontati. A Quiet Passion di Terrence Davies mette in immagini il mondo complesso di Emily Dickinson, tanto grande poetessa quanto donna fragile e difficile, con un lavoro fotografico e scenografico di valore assoluto.

Robert Guediguian, ne La casa sul mare, parla di passato e presente cercando di non dare niente per scontato e soprattutto invitando al cambiamento individuale come presupposto per mutamenti più ampi. In Dogman Matteo Garrone racconta cose orribili rivestendole di una tristissima poesia. Così come Kore’eda Hirokazu che, in Un affare di famiglia, affronta questioni apparentemente individuali lanciando in realtà durissime accuse alle politiche sociali del Giappone.

L’incontro tra la novantenne Agnès Varda e l’artista di strada JR dà vita a Visages Villages, un road movie fresco e persino innovativo sulle frontiere dell’arte e dell’età. Lucky di John Carroll Lynch vive della sovrapposizione tra il personaggio principale e il suo interprete Harry Dean Stanton, morto poco dopo la fine delle riprese, in un mix praticamente unico.

La grande interpretazione di Frances MacDormand e l’occhio surreale di Martin McDonagh rendono Tre manifesti a Ebbing, Missouri un film di eccezionale durezza e umanità con neanche un attore al posto sbagliato. Foxtrot di Samuel Maoz è una lucida riflessione sulla vita, sulla morte e su tutto quello che rende le nostre decisioni spesso sbagliate.

Nanni Moretti, intervistando esuli cileni e militari di Pinochet, trasforma Santiago, Italia in un documento sul passato indispensabile per interrogarsi sul presente. Incrociando i piani del passato, del presente, del reale, del sognato e di identità sempre più labili ne La donna dello scrittore, Christian Petzold spiazza e costringe a seguirlo sulla strada dell’introspezione.

Jafar Panahi in Tre volti si interroga su passato, presente e futuro, continuando a fare film clandestini con il beneplacito di chi l’ha condannato. Doppio Spielberg: in The Post racconta le falle di una democrazia imperfetta, in Ready Player One dà libero sfogo alla fantasia in una spettacolare compilation di cultura pop.

Un critico cinematografico che salva, per come la vediamo noi, è un gran segno di speranza. E se tra tutti questi film ne avrete trovato anche soltanto uno che salvereste anche voi, beh, ci fa molto piacere. Buon anno.