2009: salvati per voi

di Francesco Mininni

L’introduzione sarà quanto mai scarna e lapidaria: confermiamo il nostro pensiero che, finché ci sarà anche solo un film da salvare, il cinema sarà vivo e la stagione non sarà da buttare via.

Tanto meglio se, oltre a produzioni ben note a tutti, c’è anche un piccolo film irlandese come Garage (recensione) di Lenny Abrahamson, tristissima poesia su una realtà fredda e cattiva contro la quale si scontra la purezza di un poveraccio meno intelligente di tutti: praticamente un’ode allo scemo del villaggio.

Accogliamo volentieri Francesca Comencini e il suo Lo spazio bianco (recensione), nel quale una particolarmente ispirata Margherita Buy riesce a reggere tutto il peso di un’opera piena di speranza ma incentrata esclusivamente sull’attesa.

Come non salutare con soddisfazione il ritorno di Francis Coppola alla zampata d’autore? Segreti da famiglia (recensione), con il suo meraviglioso bianco e nero, il suo protagonista alternativo, il suo autobiografismo doloroso, è un’opera davvero personalissima.

E Clint Eastwood, ormai afferrata saldamente una maturità d’autore lungamente sfuggita, firma con Gran Torino (recensione) uno dei suoi risultati più intensi e meditati, umanissimo e francamente spiazzante.

Onore a Ari Folman e al suo Valzer con Bashir (recensione) , un film d’animazione che non sembra tale e che racconta la difficile ricerca di una verità che, venendo da parte israeliana, vale doppio.

Dopo anni di provocazioni, finalmente Michael Haneke, ne Il nastro bianco (recensione), organizza una complessa ricerca psicologica e storica per risalire alle radici dell’ideologia nazista: il bianco e nero, anche in questo caso, è vincente.

Crossing Over (recensione) di Wayne Kramer parla con cognizione di causa di immigrazione e integrazione razziale: finalmente un film con Harrison Ford di cui non s’indovina la fine dopo poche scene. Sarà che per la prima volta ha gettato sulla realtà uno sguardo stranamente conciliante e non ripiegato su un pessimismo genetico, ma il Ken Loach di Il mio amico Eric (recensione), con la sua storia di esistenze allo sbando che finiscono con la realizzazione di un sogno, è riuscito persino a stupirci.

L’arte dell’animazione di Hayao Miyazaki ha avuto due occasioni di incantarci: prima il nuovo Ponyo sulla scogliera, vagamente simile a La sirenetta ma molto più sinceramente sognante, poi il vecchio Il mio vicino Totoro, semplicissima favola realistica con l’invenzione deliziosa del Gattobus e tanti insegnamenti di vita quotidiana che potrebbero coinvolgere sia i bambini che gli adulti. Dolorosissimo Lebanon (recensione) di Samuel Maoz, vincitore del Leone d’oro a Venezia, che racconta l’inizio del conflitto israelo-libanese senza uscire mai dall’interno di un carro armato: kafkiano.

Giulia non esce la sera (recensione) ripropone il talento minimalista di Giuseppe Piccioni con una storia quotidiana che si illumina qua e là di squarci di surreale tristezza con il contributo di un’interpretazione molto intensa di Valeria Golino.

Uno dei misteri della stagione: Questione di punti di vista di Jacques Rivette, sul circo come vita e la vita come un circo, con Sergio Castellitto e Jane Birkin, e con noi che ancora non siamo riusciti a capire perché ci sia piaciuto tanto. La battaglia dei tre regni di John Woo racconta un episodio del 208 dopo Cristo restituendoci la valenza fondamentale del cinema come puro piacere per gli occhi e facendoci rallegrare che l’autore sia riuscito a realizzare un progetto che meditava da più di vent’anni.

Quattordici film da salvare, poco più di uno al mese. È una fortuna. Vuol dire che tutto il tempo che abbiamo passato nel buio di una sala non è andato completamente sprecato. A casa nostra, questa si chiama speranza.