2008, salvati per voi

Una premessa è d’obbligo: se diciamo che nel 2008 ci sono diciotto film da salvare, non vuol dire automaticamente che gli altri due o trecento siano da buttare. Mettiamola così: Woody Allen, Clint Eastwood, Steven Spielberg e Martin Scorsese (per citare alcuni nomi affezionati alle nostre classifiche) nel 2008 invece che in serie A hanno giocato in Promozione. E come loro molti altri anche meno noti. Una buona quantità, invece, è proprio da buttare.

Ciò detto, cominciamo dai piccoli, quelli che nessuno conosce e che per realizzare un film mettono impegno e passione più che alti budget ed effetti speciali. Come Philippe Aractingi, che con SOTTO LE BOMBE ha realizzato un reportage sul dolore in una terra martoriata dalla guerra. Come John Carney, che con ONCE ha raccontato con sensibilità la semplice storia di un musicista di strada e di una ragazza dell’Est. Come Laurent Cantet, che con LA CLASSE ci ha portati dentro una scuola parigina in un microcosmo multirazziale che rappresenta una società intera. Come Luc e Jean-Pierre Dardenne, che con IL MATRIMONIO DI LORNA proseguono il loro viaggio nelle tristezze del mondo alla ricerca di un filo di speranza. Come Jonathan Demme, che con RACHEL STA PER SPOSARSI ha raccontato una storia alla «Beautiful» con uno stile spiazzante che fa riassaporare il gusto della verità. Come Craig Gillespie, che con LARS E UNA RAGAZZA TUTTA SUA ha puntato il dito contro conformismo e perbenismo spezzando una lancia in favore di una tenera follia. Come Michel Gondry, che con Be Kind Rewind, tra spruzzi di comicità demenziale e lampi surreali, ha affermato che intorno a uno schermo cinematografico si può ancora riunirsi e socializzare alla faccia della cattiveria del mondo. Come Mark Herman, che con IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE ha avuto il coraggio di parlarci dell’Olocausto senza invocare la riconciliazione (un film Disney senza lieto fine, credeteci, è veramente una rarità. Come Nikita Mikhalkov, che con 12 ha dimostrato come sia possibile realizzare un remake trasformandolo in un’opera intensissima e personale. Come Giulio Manfredonia, che con SI PUÒ FARE ha ridato respiro alla commedia italiana adattandola ad argomenti seri in modo tutt’altro che banale o pretestuoso. Come Thomas McCarthy, che con L’OSPITE INATTESO ha parlato con leggerezza di solidarietà, razzismo, violenza e volontà di cambiare sorprendendo quanti fossero convinti che ciò fosse impossibile da parte americana. Come Sarah Polley, che con LONTANO DA LEI ha gettato uno sguardo delicato e struggente sull’Alzheimer con il contributo di due straordinari protagonisti. Come Rodrigo Plà, che con LA ZONA ci ha raccontato una terribile storia su quel mostruoso ultracorpo che può essere l’uomo. Come Matteo Garrone, che con GOMORRA ci ha immersi nella realtà quotidiana della camorra, dei luoghi nei quali eroismo è già uscire di casa la mattina, di vite la cui unica prospettiva è quella della morte, con uno stile da reportage che lascia annichiliti. Come Andrew Stanton, che con Wall-E, raccontando la storia di un piccolo robot solo al mondo e che sa dire soltanto il proprio nome, ci ha fatto riscoprire il piacere di un cinema di immagini, di tenerezza e di triste poesia. Come Pupi Avati, che con IL PAPÀ DI GIOVANNA stupisce per sincerità, impegno e stile, raccontando le tristezze di un’epoca che potrebbero essere quelle di sempre. Come Joel ed Ethan Coen, che con NON È UN PAESE PER VECCHI smettono di scherzare indovinando un racconto simbolico che è l’immagine di un paese intero.

E gli altri? Non ci sono. Perché i piccoli, quelli che nessuno conosce, sono anche i grandi che si dimostrano capaci di rinnovarsi e spiazzare. Certo, se dobbiamo indicare un gradimento particolare scegliamo Giù al Nord di Danny Boon, campione d’incassi del cinema francese e di pari successo anche all’estero. Perché? Perché in tempi di elucubrazioni intellettuali e di avvenimenti molto brutti, non sarebbe male se qualcuno ci aiutasse a riscoprire il potere terapeutico di una risata semplice e pulita.