(Baku) È una chiesa piccola, per dimensioni, ma vivace, con molti giovani: abbiamo circa duecento fedeli e la maggior parte sono azeri, non credenti o musulmani, e alcuni si sono battezzati. Lo ha raccontato padre Pietro Fidermak, vice-parroco dell’Immacolata Concezione, unica chiesa cattolica di Baku, capitale dell’Azerbaijan, alla delegazione di Rondine che, sabato, nel corso del suo Viaggio dell’amicizia nel Caucaso, ha incontrato la comunità cattolica del paese. Nel paese gli abitanti sono al 93,4 per cento islamici: la prima comunità cattolica si è costituita nel 1997 e dal 2000 è stata affidata ai salesiani della Slovacchia; nel 2002 la gioia di avere papa Giovanni Paolo II in Azerbaijan e adesso, dopo la consacrazione della chiesa nel 2006, sta per essere realizzato un centro pastorale per giovani. In tutto il paese ci sono solo due parrocchie, rette da un amministratore apostolico; più consistenti numericamente i protestanti e gli ortodossi, circa 40.000, che sono presenti con tre chiese e un vescovo. In Azerbaijan i musulmani sono molto tolleranti con le altre religioni ha sottolineato padre Fidermak non ci sono problemi se qualcuno si converte al cristianesimo, anzi gli iraniani che diventano cattolici, e non possono rimanere nel loro paese, vengono a vivere qui. Ho visto uccidere le persone davanti ai miei occhi, la mia città è stata occupata, mio fratello e tutti i miei parenti sono morti. E un racconto di dolore quello di Fase Abbasov, uno degli sfollati che la delegazione di Rondine ha incontrato sabato durante alla visita a due campi profughi di Baku. Dopo il conflitto tra Azerbaijan e Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, a metà anni Novanta, sono 700.000 i profughi fuggiti dalla regione e accolti in Azerbaijan, una nazione che ha in totale nove milioni di abitanti. Nel primo campo i profughi vivono ancora in condizioni precarie: una famiglia ha una sola stanza per sé, senza acqua e né gas, con la cucina e il bagno in comune con le altre famiglie che vivono nello stabile; ci sono poi i nuovi complessi costruiti nell’ultimo anno dal governo azero che sono invece delle vere e proprie case. Hanno distrutto la mia casa, che avevo costruito con le mie mani – ha ricordato Zabrael Khaliev, dirigente di una delle nuove scuole per i figli degli sfollati e per quanto adesso qui stiamo bene io voglio tornare nella mia terra. Nella mia vita voglio fare qualcosa per migliorare la situazione degli sfollati del Caucaso: è l’impegno che si è preso Davit Chumabaridze, 27 anni appena, durante la visita di sabato della delegazione di Rondine a due campi profughi del Nagorno Karabakh, a Baku. Chumabaridze è una Rondine d’oro, ovvero ha finito il suo percorso nello Studentato internazionale dell’associazione, che accoglie giovani provenienti da zone di conflitto, come lui, che da bambino è sfollato con la sua famiglia dall’Abkhazia, una regione indipendentista della Georgia che è stata anche causa, nel 2008, della guerra tra russi e georgiani. Sono stato in un campo profughi ha raccontato e non avevo cibo, né vestiti. Se pioveva non potevo andare a scuola perché non avevo le scarpe. Il giovane, che sta facendo uno stage nel ministero della reintegrazione georgiano, dopo il master conseguito in Italia, era nel nostro paese, quando è scoppiata la guerra. Ha seguito tutta la situazione in tv, senza poter contattare la sua famiglia; la sua esperienza ha contribuito a far maturare il progetto Ventidipacesucaucaso e la redazione dei 14 punti per la pace nel Caucaso. A Rondine ha raccontato Chumabaridze – ho avuto amici abcasi e osseti e ho visto che solo il dialogo con il cosiddetto nemico ti fa capire veramente i problemi. Noi non siamo nemici, non possiamo combattere, perché la terra è nostra, la terra è di tutti.Fonte: Sir