Lettere in redazione

Rigurgiti laicisti e valori condivisi

Caro Direttore,prendo carta e penna per esprimere il profondo disagio nel quale mi trovo (augurandomi di essere in buona compagnia) di fronte al rigurgito non laico bensì laicista che in questi giorni sta affiorando in Italia. In nome della laicità dello Stato presunti portavoce di verità illuminate (con la «i» minuscola), stanno intraprendendo un conflitto con la Chiesa Cattolica cercando una contrapposizione con quello che la Chiesa rappresenta non come istituzione bensì come portatrice laica di valori. L’unione fra movimento radicale e socialista è la prova inconfutabile di questo: i liberisti sfrenati che pongono come unico limite alla libertà la libertà stessa e i laicisti che vorrebbero relegare al silenzio chi porta avanti dei valori in quanto tali: la Chiesa rimanga nelle sacrestie! Questo è il motto ricorrente.

Di cosa hanno paura verrebbe da domandarsi? La risposta mi è venuta leggendo un bellissimo articolo di Aldo Schiamone su Repubblica di alcuni giorni fa intitolato: «Il confine tra Stato e Chiesa». «La nuova frontiera dell’eguaglianza» ci dice Schiamone «deve diventare lavoro comune di tradizioni di pensiero diverse. Potrà accadere, se sapremo da un lato sottrarci alla tentazione di mettere la parrocchia al posto dello Stato e dall’altro di concepire la laicità come un confine da difendere piuttosto che come un bene da condividere. Il nostro è certo un paese fragile, ma è abbastanza adulto da non aver bisogno né di soluzioni neoguelfe, né di nuove brecce di Porta Pia. Chi lo dimentica, non andrà lontano».

L’indebolimento del nostro interno, l’incapacità di riconoscere la nostra storia, le nostre radici, sono probabilmente quello che i laicisti vogliono: non la difesa della laicità dello Stato e il confronto laico con altri e quindi anche con la Chiesa bensì l’annientamento dei valori che producono un deserto nel quale la libertà senza confini dilaghi. Qui non si tratta di dire sì o no alla pillola del giorno dopo, alla fecondazione assistita, all’eutanasia; non si tratta di difendere valori cristiani bensì si tratta di dire come Schiavone: non possiamo non dirci laici e come tali difendere le architravi di uno Stato che su un diritto naturale non di emanazione divina ma di esperienza umana ha impregnato la costituzione.Marco CarraiConsigliere Comunale Firenze La Margherita Quello che tu, a ragione, chiami «rigurgito laicista» suscita, caro Marco, più che disagio, motivate preoccupazioni per il risorgere di pregiudizi che pensavamo intelligentemente superati.Questo rinnovato laicismo, che spesso assume gli aspetti di vero anticlericalismo, ha sia i toni minacciosi che sono risuonati nel recente Congresso dei Radicali, dove si è sancita l’unione con i Socialisti dello Sdi, sia i toni suadenti di chi consiglia alla Chiesa di limitare la sua azione all’ambito spirituale: lo stesso volontariato cattolico, lodato perché provvede a tanti disagi sociali, viene poi criticato quando indica le cause economiche e sociali che determinano o amplificano quel disagio. E si sostiene che questo sussulto laicista è determinato non da avversione alla religione ma dagli interventi «impropri» della Cei e dal «protagonismo politico» del suo Presidente: sarebbe insomma un… «mal voluto».I motivi sono invece più profondi e sono ben delineati in questa lettera. In un tempo di pensiero debole e di valori fluidi la Chiesa promuove e difende valori forti che di fatto vanno contro corrente. Sono proposti certo principalmente a livello personale, ma hanno anche un impatto sociale perché caratterizzano e qualificano una società: il Vangelo li illumina e li potenzia, ma sono anche profondamente umani. La Chiesa, proclamandoli, trova oggi una insperata e rinnovata attenzione che va molto al di là dei suoi confini istituzionali.E questo il vero motivo che suscita la reazione di gruppi, minoritari del Paese, ma forti per gli strumenti del consenso di cui dispongono.Contrastare sul piano culturale questa minoranza è la sfida che oggi ci attende come cristiani.