Opinioni & Commenti

Riciclare l’obsoleto. La polemica contro la presenza pubblica della Chiesa

DI PIETRO DE MARCODopo la stagione delle lezioni alla Chiesa italiana e al mondo cattolico sul “silenzio del laicato”, introdotte nella sperimentata didattica sul “tradimento del Concilio”, sembra aprirsi una nuova offerta formativa: un ciclo di lezioni sullo sperpero del lascito di Papa Wojtyla che la Chiesa starebbe perpetrando. In questi termini Marco Politi (La Repubblica 8 dicembre 2005) oppone ad una calda immagine del magistero carismatico di Giovanni Paolo II il freddo agire calcolante della “chiesa italiana”. Politi non riesce, in effetti, a conservare ferma la mira su tale “manovrare, troppo simile a quello di qualsiasi grande impresa o partito”. Non c’è bisogno di un occhio linceo per cogliere sullo sfondo dell’attualità civile e religiosa la parola di Benedetto XVI, e al vaticanista la cosa non sfugge. Apprendiamo così che, mentre la Chiesa italiana opera per “inquadrare [i dotti direbbero ‘disciplinare’] i cittadini con misure amministrative (!)”, il pontefice divide il mondo in due parti, “i fautori della vera fede e dell’autentica concezione dell’essere umano” e “il mucchio dei cosiddetti relativisti Completiamo il piccolo paradigma. Perché questo improvviso “non tacere” della Chiesa, questo “forzare l’ubbidienza [degli uomini, dei cittadini] con provvedimenti contrattati nei corridoi” del potere politico? Il vaticanista ha “la sensazione” che la gerarchia voglia mascherare così “il proprio deficit di persuasione delle libere coscienze”. Nella stessa pagina di Repubblica Michele Serra viene in aiuto a Politi; Serra sa, avendo letto Gad Lerner, che “le ossessioni identitarie, il dogmatismo invadente nascono sempre dalla debolezza, dalla paura, dalla fragilità ideale”. Talora si usa questa formula passe-partout per spiegare (malissimo) i “fondamentalismi”; nel mirino di Serra vi sono modestamente i vescovi italiani che, per loro “impressionante debolezza”, ogni giorno prendono posizione su qualcosa.

Qualcosa crea subito disagio di fronte a queste diagnosi, ed è la evidenza del déjà-vu

Due suggerimenti ai nostri polemisti. Il primo. Pare ancora presto per riutilizzare sull’attualità religiosa vecchi appunti, semplicemente cambiandovi i nomi e le date; il bricolage è troppo evidente. Il secondo. La recente politicità della Chiesa italiana è stata in effetti rifondata nell’arco del pontificato di Giovanni Paolo II; ed è figlia del suo sguardo teologico e del suo coraggio. Sarà bene per i critici considerarla una evidenza di grande portata, nel quadro europeo successivo alla seconda Guerra, e cercare strumenti di giudizio adeguati. Con un linguaggio che appartiene ad altre cattolicità europee si può affermare che i Vescovi italiani, con la leadership „straordinaria“ (nei molti sensi) del loro Presidente, rendono esplicita la natura di pillar (di pilastro) che la chiesa ha nella società. Ma di tale pilastro non chiedono la cura conservativa; ne rivendicano ed esercitano anzitutto il ruolo, costruttivo e civilizzatore, che gli è proprio.

1. Vi è nella discussione in corso, anche nell’opinione cattolica, sul “silenzio” dei laici qualcosa di insoddisfacente, se non di ambiguo. La domanda soggiacente (o esplicita) a “Cosa pensano i laici cattolici italiani del momento civile, delle tensioni tra chiesa e legislatore, chiesa e laicità?”, ha entro e fuori l’orizzonte cattolico una forma prevalente: “Vi è divergenza nei laicati rispetto alle posizioni dei vescovi (come Conferenza episcopale), e se vi è perché non prende corpo, ovvero come può prenderlo?”. La richiesta di dare (o di prendere) voce è essenzialmente un interrogativo su possibili dissensi dall’episcopato (come totalità o maggioranza) e sulla loro consistenza; dissensi più significativi se localizzabili in soggetti (laicali) capaci di fare opinione, e di contrappesare (anche in termini di lotta politica) quelle che vengono considerate le scelte della gerarchia.Sono molti anni che (in termini del tutto analoghi, e con implicazioni di coperto dissenso da Roma) si insiste su un magistero papale che, avendo assunto l’iniziativa di una costante presenza e sollecitudine universale, avrebbe tolto spazio e iniziativa, quindi vitalità, alle chiese particolari, agli episcopati, alle culture spontanee. Si tratta di una tardiva memoria della “divisione dei compiti” tra clero e laicato, maturata in altri decenni e rivolta a legittimare, e a conservare autonomia, la lunga vicenda otto-novecentesca dei laicati militanti (nel terreno sociale e politico). In effetti i principi/canoni dell’animazione e della consecratio (di cui ricordiamo una stagione di fecondità) del “mondo”, non hanno mai significato/implicato – nelle sedi teologiche – un silenzio magisteriale (né ad intraad extra) come conseguenza di una divisione del lavoro. 2. La voce pubblica della chiesa cattolica, se esaminata correttamente sui documenti, trasmette anzitutto alla società civile un allarme circa le soglie di rischio che la cultura nazionale starebbe oltrepassando, in particolar modo sul terreno delle bioetiche (irruzione delle tecniche biogenetiche nella sfera della natura umana) e di alcune istituzioni fondamentali (coppia e sessualità, famiglia, senso e disegno procreativo). Con un linguaggio che appartiene al mondo belga e olandese si potrebbe affermare che i Vescovi italiani, sotto la leadership „straordinaria“ (nei molti sensi, e non secondariamente per coraggio religioso, e per decisione e intelligenza politica) del suo presidente, il card. Camillo Ruini, rendono esplicita la natura di pillar (di pilastro) che la chiesa ha nella società italiana. Ma, si deve sottolineare, anzitutto di tale pilastro non si chiede la cura conservativa (onde non si deteriori), ma si rivendica e si esercita anzitutto il ruolo attivo, (ri)costruttivo e civilizzatore, che gli è proprio. Così l’episcopato italiano ha favorito, come azione conseguente alla prognosi sul carattere sociologicamente e antropologicamente distruttivo del libero accesso (sperimentazione, selezione) all’embrione, la sconfitta nel recente giugno di un referendum promosso da radicali ed ambiti della sinistra, volto ad alterare profondamente se non abrogare una legge dello stato (40/2004) che sancisce dignità e tutela del concepito fin dal primo istante. Il card. Ruini in prima persona ha indicato il legittimo ricorso all’astensione come strumento di lotta politica in difesa di questo patrimonio legislativo, e anche per tale presa di posizione solo un quarto dell’elettorato italiano ha votato, annullando l’iniziativa referendaria (un referendum richiede in Italia, per essere valido, la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto).

3. Mi limito qui ad indicare brevemente le ragioni della sua rilevanza. Esse appaiono:

a) la manifesta, ed ennesima peraltro, invalidazione delle previsioni sociologiche (e di molte, connesse, attese teologiche „modernizzanti“) relative ad un destino di invisibilità individualistica e/o micro-comunitaria delle grandi tradizioni religiose e chiese;

b) il riemergere del legame profondo e costitutivo (verificato anche oltre l’Europa e fuori del cristianesimo cattolico) tra i fini delle religioni (anzitutto „di salvezza“) e la sfera o arena pubblicasoglie critiche oltre le quali l’uomo religioso costituito in una Rivelazione „assiale“ non può ammettere –registro un dato obiettivo- che l’umanità proceda, tanto radicale è il contrasto tra questo oltrepassamento e il disegno di Salvezza in cui e per cui quell’uomo religioso (e per lui ogni uomo) esiste;

c) l’evidenza che il terreno non è (più) quello, sperimentato per due-tre decenni nelle culture/chiese protestanti e cattoliche, delle „teologie politiche della liberazione“. In quel caso erano state le culture utopizzanti e rivoluzionarie mondiali, spesso progettualmente anticristiane, a dettare l’agenda (tempi, fini e strumenti) ad una forma di milizia sacra cristiana. Oggi è l’intelletto delle chiese che attinge, se e quando sa farlo, al nucleo di filosofia e diritto naturale (cristiani) –patrimonio fondante dell’Occidente- e indica emergenze e soglie critiche radicali che altri non vedono (più).