Italia

Restituire alla politica il fondamento della morale

DI GASPARE MURALa Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato il 24 novembre del 2002 e presentato alla stampa lo scorso 16 gennaio una «Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», suscitando, come era prevedibile, una serie di reazioni critiche da parte della stampa cosiddetta «laica». In realtà, la Nota è stata redatta sentito anche il parere del Pontificio consiglio per i laici, ed è indirizzata proprio ai laici cattolici e non ai religiosi, come si legge scritto: «La Chiesa venera tra i suoi santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi S. Tommaso Moro proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici» che testimoniò fino al martirio la dignità inalienabile della coscienza affermando che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale». Ora è proprio nell’interpretazione di questo semplice punto che risiede il motivo della diversa valutazione della Nota da parte della stampa; perché vi sono molti laici, e tra essi i cattolici, che ritengono che non si possa separare la politica dalla morale; ed altri laici per i quali invece ogni richiamo al legame tra politica e morale suona come un ritorno al passato, e come un tentativo maldestro di «comporre l’unicità e certezza della verità cattolica con il pluralismo e la ricerca che sono tipici della moderna cultura democratica» (Gentiloni su La Stampa del 17 gennaio). Analogamente Miriam Mafai (su Repubblica), ritiene che sia «difficile, forse impossibile, imporre ad una società come la nostra, regole che ispirate ad una dottrina religiosa dovrebbero essere imposte anche a coloro che a quella dottrina non si rifanno», respingendo così l’invito della Nota ai laici cattolici a dissentire da «ogni concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”». Sembra dunque che dietro la questione del rapporto tra democrazia e relativismo morale si riaccenda non solo la questione di cosa significa «democrazia», ma la più antica questione del rapporto tra politica e morale, la quale, è bene ricordarlo, non appartiene solo alla nostra epoca, ma ha attraversato, con diverse posizioni, tutta la storia della cultura e della civiltà occidentali, fin dalle prime esperienze di instaurazione della democrazia. Già il pensiero classico conosceva il dilemma tra l’«obbedire a Dio», e quindi ai principi interiori e universali della giustizia, e l’«obbedire alle leggi degli uomini», anche in una società democratica (cf. Apologia, 17), che si ponessero in contrasto con quelle leggi; si può anzi dire che proprio il processo socratico, che ha evidenziato quel dramma imperituro, abbia costituito il paradigma di tutta la riflessione occidentale intorno al significato della «democrazia» ed al rapporto tra «democrazia» e «relativismo morale».

Ma è sufficiente ricordare che anche gran parte del pensiero politico contemporaneo, e proprio dopo la tragedia delle diverse esperienze totalitarie, nazista e comunista, sostiene che esse si sono instaurate, come ha lucidamente mostrato Hannah Arendt, proprio su democrazie che, per aver radicalizzato il relativismo morale, ottundendo la coscienza personale del bene e del male, hanno trasformato il «popolo» in «masse» senza coscienza etica, le quali hanno dato ciecamente l’assenso e il sostegno al totalitarismo ed al terrore. Da Aristotele, che aveva concepito la politica come derivata dalla morale, fino ad Hannah Arendt dunque una ininterrotta corrente di pensiero laico, anche non cattolico, è stata pensosa del rapporto tra democrazia e morale non in termini confessionali ma autenticamente «laici» (Campanella, Vico, Strurzo), riaffermando, contro la separazione tra politica e morale instaurata da Machiavelli (e poi sostenuta da Spinoza, Hobbes, Marx, Engels, Lenin, nonché dall’odierno «relativismo etico»), che senza una autentica fondazione morale nessuna politica, anche in regime democratico, può perseguire il vero «bene» dell’uomo, ma unicamente un potere che è fine a se stesso e non si sa dove possa condurre.

Il richiamo della Nota ai laici cattolici che operano in politica, affinché non separino l’azione politica dalla morale, è allora dettato unicamente dalla preoccupazione per il «bene» dell’uomo, di tutto l’uomo e di ogni uomo. È la centralità, l’intangibilità e l’inviolabilità della persona umana che, anche dal punto di vista filosofico e non solo religioso, detta i principi «personalistici» che devono sostenere ogni azione politica intesa al «bene dell’uomo», la quale non voglia ridursi machiavellicamente a «scienza del potere», anche democratico. Di fronte al «primato della persona», ricorda la Nota, «l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno», e ciò anche perché la fede professata non abolisce ma rafforza i principi universali del diritto naturale, la cui trasgressione comprometterebbe «la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiore dei fedeli stessi». Ed al primato della persona sono legati altri valori etici irrinunciabili, quali la difesa della vita (aborto e eutanasia), i diritti dell’embrione umano, la tutela della famiglia, la libertà di educazione, la tutela sociale dei minori, la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù, il diritto alla libertà religiosa. L’aver troppo insistito, da parte della stampa, sul riconoscimento da parte della Nota del fatto che i cattolici possano militare in diverse formazioni politiche, ha forse offuscato quello che è il vero centro del messaggio: restituire alla politica, contro il machiavellismo che assume oggi il volto del «relativismo etico», il fondamento di una morale universale perché basata sul primato della persona, e quindi sul diritto naturale. La Nota precisa che «questa concezione relativistica del pluralismo» nulla ha a che vedere «con la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale quella che secondo il proprio criterio si adegua alle esigenze del bene comune».Nessun fondamentalismo o integrismo religioso, quindi, che, come nell’Islam, fa derivare direttamente dalla fede religiosa la soluzione dei singoli problemi della vita politica, senza passare per la mediazione dell’analisi socio politica, impedendo così la legittima distinzione tra fede e politica. Ma sostegno, da parte di una fede matura e consapevole, dei principi morali universali che proteggono il primato, e quindi la dignità, della persona umana nel contesto di qualsiasi società democratica. I cattolici impegnati in politica, insomma, sono richiamati ancora oggi ad essere quello che la celebre Lettera a Diogneto affermava dei cristiani: «I cristiani svolgono nel mondo la stessa funzione dell’anima nel corpo» (VI,1). I cattolici e la vita politica. Il testo integrale della Nota