Toscana
Regione, l’autogol del manifesto gay
Ha ricevuto molte più critiche che consensi il manifesto sull’orientamento sessuale, che non sarebbe una scelta, realizzato con l’immagine di un neonato con al polso la scritta in francese «homosexual» (nella foto). Persino una parte delle associazioni gay si è dichiarata contraria, producendo così una sorta di autogol dell’assessore regionale alle Riforme istituzionali, Agostino Fragai, che ha promosso l’iniziativa grazie anche all’onerosa consulenza di Alessio De Giorgi.
Ribadendo che la richiesta di rispetto per le persone di tendenza omosessuale non può andare a scapito della mancanza di rispetto per altre persone, in questo caso i neonati, riteniamo che il manifesto ingeneri pure grossi equivoci sull’omosessualità geneticamente e biologicamente determinata. Tra chi si è schierato contro il manifesto ricordiamo anche il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi, mentre ospitiamo gli interventi di Paolo Bartolozzi, vicepresidente del Consiglio regionale, e di Angelo Passaleva, immunologo, già vicepresidente dalla Giunta regionale.
Da persone che pur godono del mio apprezzamento, mi sarei aspettato proprio questo dopo il controproducente lancio di manifesti – sull’omosessualità – scientificamente scorretti, fuorvianti e tali da indurre a conclusioni pericolose. Né io né le comunità ecclesiali di oggi si scagliano contro l’omosessualità. Nessuno può giudicare e, tanto meno, condannare. E’ possibile solo comprendere, anche se rimane fermo il principio che non si possono equiparare le unioni omosessuali alla famiglia come riconosciuta dalla Costituzione. Si possono prevedere tutele anche forti con aggiornamenti del codice civile. Ma non è questo il punto.
La Regione fa bene a sostenere campagne contro l’omofobia, ma non può usare messaggi fuorvianti.
Il neonato che viene dichiarato “omosessuale” fa infatti pensare che l’omosessualità sia determinata da fattori genetici o biologici. Questo è falso perché, almeno fino a oggi, non c’è dimostrazione che lo provi. Oltretutto si verrebbe a dichiarare che le decisioni, o gli orientamenti individuali, sono geneticamente o biologicamente determinati.
Come noto, le teorie sul determinismo bio-strutturale di Lombroso, per fortuna, sono state dimostrate false. Altrimenti si dovrebbe ammettere che pure altri comportamenti nella sfera sessuale (pedofilia, pratiche sado-masochiste, incesto ) sono determinate da fattori congeniti o genetici e quindi esenti da scelte e responsabilità personali. Le ricerche fin qui eseguite sulla cromatina sessuale o su altri geni, non hanno portato ad alcuna conclusione. Condivido quanto scritto da Massimo Livi Bacci.
C’è poi una osservazione assai pericolosa che si potrebbe desumere dal manifesto: una parte rilevante nella vita di relazione – la più intima delle quali è proprio rappresentata dall’esperienza sessuale – sarebbe in buona parte biologicamente determinata. Cosa rimarrebbe delle libertà individuali? Ci si rende conto del pericolo di certe tesi e della confusione che esse possono generare?
Condivido inoltre che un neonato non possa essere usato come spot commerciale. Mi pongo infine una domanda: il manifesto aveva forse come obiettivo principale, a parte il nobile pretesto ufficiale, quello un tantino più cinico di far parlare i grandi media sulla Regione? In questo caso l’obiettivo è certo stato raggiunto, ma – vista la mole di reazioni negative da fronti anche diversi – forse era opportuno pensarci meglio. Anche, e soprattutto, da un punto di vista politico.
È necessario porre all’indice la campagna pubblicitaria in questione che, senza ombra di dubbio, calpesta la dignità della persona umana e va tutelata l’infanzia da ogni appropriazione indebita denunciando la pirateria culturale di una certa sinistra demagogica e spregiudicata che non si perita ad usare qualsiasi mezzo per far notizia e per tentare di uscire da una crisi di credibilità nella quale palesemente affonda ogni giorno di più.
Che un certo modo di fare politica sembri aver raggiunto il fondo, ormai, lo si avverte quasi quotidianamente ma il problema vero è che il pozzo in cui tale sinistra si è infilata, con questa trovata, rischia di essere senza fine e senza alcun pudore.
Per questo motivo, come Vicepresidente del Consiglio Regionale della Toscana, ho inviato una lettera al Vicepresidente della Commissione Europea l’on. Franco Frattini ed al Presidente del Comitato Unicef Italia il dott. Antonio Sclavi, nella quale ho chiesto il loro autorevole intervento per fermare subito la campagna pubblicitaria lanciata dalla Giunta Regionale Toscana sull’omofobia.
Con questa iniziativa ho voluto sottolineare con fermezza come sia necessaria un’immediata censura da parte della Commissione Europea e dell’Unicef per porre fine, con azioni idonee, a questa indegna propaganda che, tra l’altro, non giova all’immagine della nostra Regione e del nostro Paese.
Chi vuole difendere gli adulti da qualsivoglia discriminazione sessuale lo può fare senza coinvolgere i neonati, che non si possono difendere da soli, lasciando in pace l’infanzia ed il più comune senso del rispetto della persona umana sin dalla sua nascita.
Questa iniziativa di cattivo gusto e senza precedenti offende la famiglia dove sbocciano nuove vite e rappresenta ormai il livello più basso del relativismo etico fatto proprio da una pseudo-cultura senza valori e senza rispetto dei diritti naturali della persona. Per il diritto alla vita si svolge, oggi, una lotta fondamentale per la difesa della dignità dell’uomo che insieme a quella della famiglia sono valori umani e cristiani irrinunciabili.
La replica dell’assesore Fragai
Dall’assessore regionale alle riforme istituzionali e al rapporto con i cittadini, Agostino Fragai, riceviamo e pubblichiamo questa replica agli interventi di Angelo Passaleva e di Paolo Bartolozzi in merito al manifesto della Regione Toscana con l’immagine di un neonato con al braccio la scritta «omosexual» e la dicitura «L’orientamento sessuale non è una scelta».
Stimo il professor Angelo Passaleva, per la sua storia politica e per conoscenza personale. E proprio per questa stima non voglio lasciar cadere le critiche che la scorsa settimana, su queste stesse pagine, ha mosso al manifesto che la Regione Toscana ha scelto per combattere le discriminazioni di orientamento sessuale. Penso che meritino una risposta, pacata come pacato è stato del resto il suo intervento. Al contrario ritengo che non ci sia spazio per nessun dialogo con il consigliere regionale Paolo Bartolozzi, anche lui intervenuto su queste pagine. L’uso di argomentazioni così fuori luogo o il sostenere, come ha fatto, che quel manifesto possa addirittura essere letto come un incitamento alla pedofilia si commentano da sole.
Passaleva dice che sarebbe buona cosa, quando si sbaglia, ammetterlo. È un regola ed una condotta di vita che condivido pienamente e che cerco di applicare ogni volta che posso. Non sono sordo alle molte voci critiche che, dopo la presentazione del manifesto del bambino «omosex», si sono sollevate. Ne sono pienamente consapevole. Ma proprio per la dimensione e il clamore delle reazioni suscitate, quel manifesto ha dimostrato la sua utilità. E proprio per questo non posso dunque dire, in coscienza, che si è sbagliato.
C’è qualcosa di profondo ed oscuro che si annida nelle nostre convinzioni e nelle nostre culture e che ci fa insorgere quando si accosta l’immagine di un bambino e sottolineo l’immagine, non una persona identificabile all’omosessualità. Al contrario siamo ormai indifferenti ad ogni forma di utilizzazione dell’infanzia a fini commerciali. Una campagna non risolve certo un problema; ma tacere, nascondere, ignorare, censurare o discriminare i problemi li aggrava. E sono problemi, questi sì, non di immagini fotografiche ma di persone vere.
Non mi sfugge neppure il carattere chiaramente provocatorio del manifesto che abbiamo scelto. Sono anche consapevole che il messaggio può prestarsi a interpretazioni diverse. Ma c’è un punto al quale nessuno può sfuggire: non si può guardare quell’immagine, interrogarsi e pensare che un diverso orientamento sessuale sia un capriccio o un vizio. Questo è il primo elemento (lo chiamerei, anzi, pregiudizio) che dobbiamo rimuovere dal sentire profondo di una parte ancora consistente della nostra società. E questo è compito della politica e delle istituzioni. Accettare le diversità, consentire a tutti di vivere serenamente secondo la propria personalità, secondo le proprie convinzioni morali, secondo le proprie convinzioni religiose e culturali è ancora oggi la scommessa del mondo moderno.