Opinioni & Commenti

Recuperare la tensione educativa per essere testimoni credibili

di Giuseppe Savagnone

Ancora una volta Benedetto XVI ha ripreso uno dei temi che sembrano per ora occupare in modo prevalente i suoi pensieri: l’«emergenza educativa». Lo ha fatto nel discorso (testo integrale) ad ampio respiro rivolto all’Assemblea generale della Cei, dove, sottolineando che «l’Italia ha bisogno di uscire da un periodo difficile», ha individuato nel problema del rapporto tra le generazioni la sfida decisiva a cui la società e la Chiesa devono oggi rispondere.

I primi ad esserne interpellati non sono i giovani, ma gli adulti. La crisi, nella diagnosi del Papa, riguarda innanzi tutto gli educatori. «Quando, infatti, in una società e in una cultura segnate da un relativismo pervasivo e non di rado aggressivo, sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita, si diffonde facilmente, tra i genitori come tra gli insegnanti, la tentazione di rinunciare al proprio compito, e ancor prima il rischio di non comprendere più quale sia il proprio ruolo e la propria missione. Così i fanciulli, gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti forse eccessivamente al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita, si sentono alla fine lasciati davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro».

Parole che avrebbero meritato ben maggiore attenzione da parte di un’opinione pubblica che, nei discorsi di questo Pontefice, tende a volte a cogliere ed enfatizzare gli elementi meno essenziali trascurandone, come in questo caso, il messaggio fondamentale. (Già solo in termini quantitativi, al tema educativo è dedicata quasi metà dell’intero indirizzo ai vescovi). La politica, l’economia, le relazioni sociali, dipendono dalla formazione che saremo capaci di dare ai nostri figli, ai nostri alunni. In assenza di un orizzonte di verità che costituisca un valido punto di riferimento, anche gli spiragli di positività individuati da Benedetto XVI nel clima politico ed istituzionale non sono certo in grado di garantire la svolta di cui la nostra società ha bisogno. Ma la trasmissione di queste verità alle nuove generazioni richiede «educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori su cui è possibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi». Al di là delle vicende contingenti, ci si dovrebbe soprattutto interrogare sulla possibilità di recuperare oggi, a tutti i livelli, questa tensione educativa, che sembra in gran parte smarrita o indebolita. E che, ha notato il Pontefice con un evidente richiamo al problema delle scuole cattoliche, potrebbe solo essere favorita da un maggiore «confronto tra centri formativi diversi suscitati, nel rispetto dei programmi ministeriali validi per tutti, da forze popolari multiple».

Il problema non tocca solo la società civile. Mai come oggi, forse, in questo clima culturale «che mette Dio tra parentesi e che scoraggia ogni scelta veramente impegnativa», una formazione cristiana incisiva e profonda delle nuove generazioni appare problematica. Non per caso il Papa ha invitato i vescovi a «dare un più spiccato profilo di evangelizzazione» alle occasioni di incontro con i giovani. «Soprattutto importanti sono, ovviamente, i rapporti personali e specialmente la confessione sacramentale e la direzione spirituale». Indicazione fondamentale e attualissima, in un contesto che vede a volte la pastorale oscillare tra un ritualismo abitudinario e iniziative  che coinvolgono ragazzi e ragazze a livello di massa, ma senza riuscire poi a tradurre il coinvolgimento collettivo in un cammino personalizzato. Sta di fatto che oggi la confessione e ancor più la direzione spirituale sembrano ormai messe ai margini, contribuendo a determinare la solitudine dei giovani. L’appello del Pontefice è chiaro e va all’essenziale. Sta ora a noi, in quanto cittadini e in quanto cristiani, non lasciarlo cadere.