Italia

Rapporto Svimez: cresce il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord

Il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord torna a crescere: nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%. Per annullarlo, occorre creare nel Mezzogiorno tre milioni di posti di lavoro. Lo segnala il Rapporto Svimez sull’Economia e la società del Mezzogiorno, presentato stamani alla Camera dei deputati. Uno strumento per risolverlo è stato indicato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ed è il Piano per il Sud. Alcune misure previste sono state già inserite nella manovra, ma la versione integrale sarà varata – ha ribadito il premier – «entro fine anno». Tra i provvedimenti presi in esame dal rapporto, anche il reddito di cittadinanza, il cui impatto è stato considerato «nullo». Ma Conte ha ammonito: «Non va valutato in un lasso temporale così breve, ma in un periodo molto più lungo». E ha ribadito la sua convinzione: «Se riparte il Sud, riparte l’Italia. Questo non è uno slogan, ma un’affermazione che nasce dalla consapevolezza che deve guidare l’azione di governo. L’intero Paese ha perso competitività a livello europeo con disinvestimenti sul Sud».

Il gap occupazionale. Il Rapporto indica che la crescita dell’occupazione nel primo semestre di quest’anno riguarda solo il Centro-Nord (+137.000 posti di lavoro). Un trend che si contrappone al calo nel Mezzogiorno (-27.000). Secondo le stime Svimez, il 2019 vede il Sud entrare in «recessione», con un Pil stimato in calo dello 0,2%, a fronte della crescita dello 0,3% del Centro-Nord (+0,2% la media nazionale).  «Per uscire dalla stagnazione italiana bisogna mettere assieme le potenzialità del Sud e del Nord, attraverso un nuovo Patto – è la via delineata dal direttore dello Svimez, Luca Bianchi -. Occorre abbandonare la ricetta indigesta di politiche diverse per le due parti del Paese sul binomio ‘assistenza per il Sud e sviluppo per il Nord’, cercando una ricomposizione degli interessi nazionali».

Il Piano per il Sud. Un’indicazione sulla quale il Governo lavora già da alcune settimane. E se ne è fatto portavoce il presidente del Consiglio, che ha colto l’occasione per anticipare alcune misure del Piano per il Sud, che ha come obiettivo quello di «realizzare un riequilibrio territoriale della spesa ordinaria per gli investimenti». «Al Sud risiede il 34% della popolazione italiana, ma le quote destinate agli investimenti delle regioni corrispondenti si attestano al di sotto del 30%», è l’osservazione dalla quale è partito il Governo nella redazione del Piano. Dallo stanziamento delle risorse alla spesa: il premier ha annunciato una «task force» per «definanziare programmi privi di progetti, acquisire e chiedere dati trasparenti alle amministrazioni locali». Dal governo, inoltre, la disponibilità a «fornire assistenza tecnica, dalla progettazione alla realizzazione delle opere». La strategia del Governo è incentrata sulla «riattivazione dei finanziamenti pubblici nel Mezzogiorno». L’esecutivo intende investire «nelle infrastrutture sociali, ambientali e viarie». Un’attenzione particolare è riservata anche agli «enti locali» e alle comunità che «hanno difficoltà a camminare con le proprie gambe».

«Abbiamo pensato di dare ossigeno ai piccoli Comuni del Sud stanziando oltre 300 milioni per sostenere le infrastrutture sociali, come asili, scuole e presidi sanitari», ha riferito Conte. «Allo stesso modo abbiamo stanziato 200 milioni alla Strategia nazionale per le aree interne».

Sono, invece, 675 i milioni stanziati per il credito d’imposta per le imprese. «Abbiamo affidato alla Banca del Mezzogiorno il fondo ‘Cresci al Sud’ con una dotazione di 250 milioni di euro. Sono risorse pensate per la crescita delle piccole e medie imprese».

Le emigrazioni e il crollo delle nascite. Concentrandosi sulle migrazioni, il Rapporto Svimez evidenzia che «dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati». Intanto, in Italia nel 2018 si è raggiunto «un nuovo minimo storico delle nascite». Al Sud, lo scorso anno, sono nati circa 157 mila bambini, 6 mila in meno del 2017. La novità – spiega il Rapporto -, è che «il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli». «Tra le più gravi criticità che stanno acuendo le disuguaglianze tra Nord e Sud – ha affermato il premier – registro con preoccupazione la crisi demografica per una riduzione senza precedenti del tasso di natalità, coniugato a una crescente migrazione verso l’estero e il nord del Paese». In particolare, tra 2002 e 2017 sono emigrati dalle regioni del Sud oltre due milioni di persone. «Se procediamo con questo trend il Sud perderà cinque milioni di persone e, a condizioni date, oltre il 40% del Pil». Una dinamica determinata, secondo il premier, dall’assenza di «solide prospettive di lavoro. La crisi dell’occupazione nell’ultimo decennio ha assunto il carattere di un’autentica emergenza nazionale e gli sforzi compiuti non hanno dato quelle prospettive per rimediarvi».

Le prospettive per il futuro. Guardando al futuro, il direttore dello Svimez, Luca Bianchi, ha delineato le tendenze per il 2019 e il 2020. «Nel 2019 stimiamo una riduzione del Pil del Sud dello 0.2%, una debole recessione all’interno di in un Paese che si attesterà su una stagnazione – ha affermato -. Nel 2020, a politiche invariate, prevediamo invece una debole ripresa anche al Sud». L’unica variabile indicata per muovere queste previsioni è quella degli «investimenti. È stato molto importante aver sterilizzato l’aumento dell’Iva. Il peggioramento sarebbe stato di 4 decimi di punto già nel 2020».