Italia
Rapporto Censis, il sistema-Italia è “una ruota quadrata che non gira”
Il problema non nasce ora, beninteso, ma “mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale”. “Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità – sostiene il Censis – il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali”. Così, “nell’anno della paura nera”, l’Italia si è riscoperta “spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza”. Il 73,4% degli italiani indica “nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente”. A fronte di questo lo Stato diventa “il salvagente a cui aggrapparsi nel momento del massimo pericolo”. Il 57,8% dei cittadini “è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della salute collettiva” (“meglio sudditi che morti”, sintetizza il Censis) e ancora di più sono coloro che chiedono pene severe per chi non rispetta le regole anti-contagio. Nel crollo verticale del “Pil della socialità”, un giovane su due (49,3%) ritiene giusto che i suoi coetanei siano curati prima degli anziani. E “tra antichi risentimenti e nuove inquietudini” persino la pena di morte – rileva con “sorpresa” il Rapporto – torna “nella sfera del praticabile”, raccogliendo il 43,7% dei consensi.
“Nel timore e con cautela, il nostro Paese aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ricostruire i sistemi portanti dello sviluppo. Sa che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo”. Nel suo 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese il Censis scommette ancora una volta sulla capacità degli italiani di affrontare le “curve drammatiche e inaspettate che mutano radicalmente i paesaggi del vivere, individuale e collettivo”. La pandemia, “giravolta della storia”, è uno di questi passaggi. L’analisi del Censis è tutt’altro che edulcorata. “Il virus ha aggredito una società già stanca – afferma il Rapporto – provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile”. “Una società indebolita nel suo scheletro complessivo”, osserva il Censis, eppure “ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita”. Ma bisogna cambiare marcia rispetto a un anno in cui “siamo stati incapaci di visione”. Certo, gli interventi tampone – dalla “distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi” al blocco dei licenziamenti – hanno posto un “argine” alle ricadute sui soggetti più deboli. Ma “il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci”, “un sentiero di bassa valle più che un’alta via”. Così “l’attesa si è trasformata in disorientamento” e “il contagio della paura rischia di mutare in rabbia”. Per uscire da questa situazione, alla società italiana non basta quel “curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti” con cui è riuscita a reagire in tutte le epoche di crisi. “La realtà odierna – sottolinea il Censis– ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non mettere in campo un’azione sistemica della mano pubblica”. Il Rapporto indica quattro filoni: “un nuovo schema fiscale”; “un ridisegno del sistema industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti”; “un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali”; una revisione di “ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del terzo settore”.
Il Censis li chiama “poveri all’improvviso”. Sono coloro per i quali la pandemia ha avuto conseguenze economiche repentine e devastanti. In primo piano c’è il problema del lavoro. Nel secondo trimestre dell’anno si registrano 841mila occupati in meno e 1.310 mila persone inattive in più rispetto al 2019. Aumentano del 4,8% coloro che rinunciano per scoraggiamento a cercare un lavoro. E il 17,1% della popolazione dispone di risorse finanziarie per meno di un mese. A pagare il prezzo più alto in termini occupazionali sono come sempre giovani e donne, insieme agli immigrati. Ma per l’85,8% degli italiani la crisi da Covid ha confermato che “la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no”. “Su tutti – rileva il Censis – i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione, una larga parte dei quali ha fornito un aiuto a figli e nipoti in difficoltà: un ‘silver welfare’ informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive”. In questa situazione segnata da paure personali e collettive, da precarietà lavorativa e incertezza economica, si prefigura un aggravamento ulteriore del problema demografico. Il rischio – sottolinea il Censis – è di avere una “generazione zero figli”. Non va tuttavia dimenticato che durante questa crisi oltre 14 milioni di italiani hanno beneficiato di sussidi per un totale superiore a 26 miliardi di euro. “È come se a un quarto della popolazione italiana – rileva il Rapporto – fossero stati trasferiti quasi 2mila euro a testa”. Ma la “bonus economy” non è in grado di costruire il futuro, tanto più che chi può tende a risparmiare in modo improduttivo: è cresciuto di 41,6 miliardi in sei mesi quello che il Censis definisce “il lago della liquidità precauzionale”.