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RAPPORTO AMNESTY: LA RICERCA DELLA SICUREZZA FA MALE AI DIRITTI UMANI

Un veloce declino del rispetto dei diritti umani in tutto il mondo è stato denunciato ieri da Amnesty International in occasione della presentazione a Londra del rapporto 2003/2004 dell’organizzazione. Alla radice del deterioramento dell’attuale situazione ci sarebbero due uguali responsabili, seppure a livelli diversi: i gruppi terroristici e la lotta innescata contro di essi, in primis dagli Stati Uniti e dai loro alleati, ma ugualmente abbracciata, anche in maniera strumentale da altri governi.

Amnesty sottolinea che mai come in questi anni la ricerca della sicurezza ha motivato tanti abusi di diritti che sembravano conquistati con fatica: dal principio della presunzione di innocenza al diritto dei detenuti all’integrità fisica, dalla libertà di associazione al diritto alla tutela legale, dal diritto di proprietà fino alla libertà di movimento. Le normative di emergenza e le singole iniziative che molti governi hanno avallato per fronteggiare il terrorismo avrebbero infatti eroso anche i diritti dei cittadini, e non solo di quelli sospettati di violazioni. Si legge nel rapporto: “I principi del diritto internazionale e gli strumenti dell’azione multilaterale che potrebbero proteggerci da questi attacchi (ai diritti umani) vengono minacciati, ridimensionati o distrutti da governi potenti che stanno perdendo la loro compassione morale e sacrificando i valori globali dei diritti umani al cieco perseguimento della sicurezza”.

L’organizzazione – fondata in Gran Bretagna nel 1961 dall’avvocato Peter Benenson e che dal 2001 ha alla guida la signora Irene Zubaida Khan di origini asiatiche e religione islamica – non sottovaluta né ridimensiona le responsabilità dei gruppi armati, condannati per i loro crimini ma ritiene che l’agenda sulla sicurezza globale portata avanti dagli Stati Uniti “sia un fallimento in termini di visione e una sconfitta in termini di principi”, incapace di battere il terrorismo in maniera efficace.

Secondo Amnesty,la via principe per fare terra bruciata intorno agli estremisti è il rispetto dei diritti umani, anche come rimedio alle ingiustizie e agli abusi che alimentano la rabbia di cui si nutre il terrorismo. A prescindere dalla precaria situazione innescatasi tre anni fa, restano ancora croniche le violazioni di cui soffrono, ad esempio, i popoli africani: traffico illegale di armi, razzia delle risorse naturali, bambini soldato, estrema povertà, non accesso ai farmaci essenziali, impunità di chi si è macchiato di crimini contro l’umanità. Un panorama più grave ma non troppo diverso da quello che si vive in molti Paesi dell’America Latina o dell’Asia dove continuano gli abusi della polizia e delle autorità contro le fasce deboli, le esecuzioni estragiudiziali, le sparizioni. In Asia come in Africa, si ripropongono le violenze interreligiose. Ovunque, e soprattutto nei Paesi più retrogradi, continuano le prevaricazioni contro le donne e le bambine, nel corpo e nella dignità.

Eppure Amnesty non ritiene persa ogni speranza: a fare da contraltare all’oscurità dei tempi è l’ormai irreversibile coscienza universale della legittimità dei diritti umani abbracciata da sempre più numerose organizzazioni non governative e gruppi della società civile locali: “Siamo convinti – conclude il rapporto la cui sintesi si può consultare sul sito Internet dell’organizzazione – che la pressione esercitata dall’opinione pubblica unita al sostegno dei governi riuscirà a produrre un cambiamento di rotta. Non esiste comunità internazionale più forte di una società civile planetaria”. Misna