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Radici cristiane dell’Europa, la «battaglia» di Wojtyla

di Claudio TurriniDal 13 luglio al 31 agosto Giovanni Paolo II è intervenuto una decina di volte «sull’Europa e sulle sue radici cristiane», dedicando a questo tema tutti gli Angelus estivi, ad eccezione di quello dell’Assunta. Un’insistenza che ha sorpreso più di un commentatore e che sembra consegnarci – come già ai tempi della guerra all’Iraq – l’immagine di un Papa che con le estreme forze rimaste nella sua forte tempra slava, grida nel deserto come un profeta dell’Antico Testamento. Anche chi fa mostra di aver raccolto i suoi inviti mette subito avanti le mani sulle possibilità di successo: negare le «radici cristiane» del continente è un assurdo, ma riuscire ad inserirle nel «Preambolo» della Costituzione europea sembra impresa titanica e forse anche un po’ accademica. Meglio accontentarsi – suggeriscono allora – di quello che di positivo c’è nel testo della «Carta», come il riconoscimento della libertà religiosa o il rispetto dello statuto giuridico delle Chiese.

In pochi si sono accorti che Giovanni Paolo II ha seguito in questi mesi un suo «filo logico», sviluppando nei suoi brevi Angelus i temi già contenuti nell’esortazione post-sinodale «Ecclesia in Europa», del resto sempre esplicitamente citata. «La cultura europea dà l’impressione di un’“apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio, che vive come se Dio non esistesse”… Occorre ritornare a Cristo e ripartire da Lui», aveva detto il 13 luglio. Adesso che si lavora «alla redazione della nuova Costituzione… la nuova Europa va aiutata “a costruire se stessa rivitalizzando le radici cristiane che l’hanno originata”», ha aggiunto la domenica successiva. Perché «l’Europa è “un concetto prevalentemente culturale e storico”, caratterizzatosi come continente grazie pure alla forza unificante del cristianesimo, che ha saputo integrare tra loro diversi popoli e culture» (17 agosto). La Chiesa, ha aggiunto il 24 agosto, «è convinta che il Vangelo di Cristo… continui a rimanere ancor oggi una inesauribile fonte di spiritualità e di fraternità. Il prenderne atto torna a vantaggio di tutti e il riconoscere esplicitamente nel Trattato le radici cristiane dell’Europa diventa per il continente la principale garanzia di futuro».

La «battaglia» di Wojtyla è tutta qui. Non è la pretesa di un riconoscimento prestigioso per la Chiesa. Sa bene che in quella Carta è ben più importante che siano le norme concrete ad ispirarsi ai grandi principi della tradizione cristiana (libertà, dignità umana, solidarietà, sussidiarietà, dialogo…). Il vero problema non è che alcuni politici e governanti non vogliono citare il cristianesimo nel Preambolo (anche se questa è comunque una insensatezza: meglio sarebbe allora eliminarlo), ma che i popoli europei hanno smarrito le loro radici.

«Non meravigliano più di tanto… i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone l’eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana», aveva ammesso con amarezza nella «Ecclesia in Europa», dopo aver descritto il dilagare di «agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso» che accompagna «lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane». Come a dire: attenti a non scambiare l’effetto con la causa.

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