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RABBIA E SDEGNO A NAPOLI PER L’UCCISIONE DI ANNALISA IN AGGUATO CAMORRA

“Tanta rabbia e sdegno, ma anche voglia di voltare pagina, dicendo basta alla cultura di morte e alla violenza”. Don Luigi Merola, parroco di San Giorgio Maggiore, parrocchia del quartiere di Forcella, una delle zone più degradate del centro storico di Napoli, commenta così la reazione della gente di fronte alla tragica sorte di Annalisa Durante, la quattordicenne, morta dopo essere stata colpita, sabato sera, in una sparatoria di camorra, nei vicoli di Forcella. Secondo alcuni parenti della vittima, il vero obiettivo dei killer, Salvatore Giuliano, appartenente al clan camorristico omonimo, si è fatto scudo del corpo della ragazza per sfuggire all’agguato. “Nel quartiere – afferma don Luigi – c’è volontà di rinascita: anche di fronte a questa tragedia, si sente forte il desiderio di una nuova vita senza violenza”.

Qui la Chiesa è l’ultimo baluardo contro la criminalità e il degrado, morale e materiale. “Le parrocchie di questa zona – dice don Merola – che io chiamo di frontiera, fanno la loro parte per la formazione delle nuove generazioni. Grazie all’aiuto di giovani universitari e delle suore salesiane, presenti nel quartiere, seguiamo i ragazzi nelle attività dell’oratorio, nel doposcuola e in un cammino di fede dopo la classica catechesi per ricevere i sacramenti”. Ma, avverte il sacerdote, “se la Chiesa resta l’unica forza a combattere contro la violenza e il degrado, non ce la potrà mai fare. Serve, piuttosto, la collaborazione tra tutte le istituzioni presenti sul territorio per vincere il male”.

“La visita del Questore di Napoli al quartiere e alla famiglia – aggiunge il parroco – è stata perciò un forte segno di speranza”. Segnali positivi e di rinnovato impegno da parte di tutti non mancano. “Il 29 marzo alle 13 – conclude don Luigi – la direttrice della scuola elementare ‘Adelaide Ristori’, Fernanda Tuccillo, mi ha invitato ad andare nel suo istituto per elaborare, insieme ai responsabili delle altre scuole presenti sul territorio, nuove strategie per inculcare alle giovani generazioni una nuova mentalità di vita, per dire ‘no’ alla violenza e alla morte”.

Don Franco Rapullino, parroco di Santa Caterina a Formiello, un’altra delle chiese di frontiera del quartiere di Forcella, ricorda invece come “non ci sia niente di nuovo in questa tragedia di Annalisa”. “Già dodici anni fa – dichiara don Rapullino – ho dovuto benedire la salma di un bambino ammazzato in un regolamento di conti. Purtroppo è successo e succederà ancora, perché la questione, per quanto riguarda me sacerdote, non è tanto a livello politico e istituzionale, ma di cuore”. E il cuore di Napoli, a giudizio di don Franco, “è marcio. Se non si risana il cuore, il problema rimarrà con tutta l’efferatezza delle sue conseguenze. C’è chi sceglie il bene e chi il male. Come sacerdote, il mio angolo visuale parte dal pulpito e dall’azione pastorale, dal rapporto con i ragazzi. Si lavora sulle coscienze, ma per i giovani che non vengono in chiesa, c’è bisogno di un maggior sostegno da parte delle istituzioni”.Insomma, anche per don Franco, “è necessaria più concertazione. Noi come sacerdoti del centro storico proponiamo tante iniziative, persino corsi di ballo latino americano e gite sulla neve. Ma è una lotta impari, il problema esiste e se non si lavora insieme resterà tale”. Ciò di cui Napoli ha bisogno, afferma don Rapullino, “è una rivolta dei buoni, una presa di coscienza maggiore da parte della collettività, con tutti i mezzi possibili, compresi i mass media. Di fronte a queste tragedie – conclude il sacerdote – dobbiamo essere ancora capaci di reagire e scandalizzarci, perché significa che siamo vivi. Se siamo rassegnati, siamo già morti”.Sir