Un appello per la pace nel Kivu, Repubblica democratica del Congo, con alcune indicazioni politiche per andare oltre l’emergenza umanitaria: tra le priorità, dare ai contingenti delle Nazioni Unite presenti in zona (17.000 militari, di cui 8000 nel Kivu) una capacità organizzativa per imporre il rispetto degli accordi firmati tra le parti in conflitto (a Nairobi nel novembre 2007 e a Goma nel gennaio 2008). E’ stato lanciato oggi da Chiama l’Africa, Beati i costruttori di pace, Commissione giustizia e pace degli istituti missionari, Gruppo Pace per il Congo e Cipsi. Le realtà che hanno sottoscritto l’appello anticipato al Sir ed aperto ad ulteriori adesioni si ritroveranno il 7 novembre a Roma dai missionari saveriani per decidere iniziative concrete, tra cui la proposta di un digiuno per sensibilizzare il mondo politico e l’opinione pubblica italiana. Nell’appello si ricorda che centinaia di migliaia di profughi vanno ad aggiungersi al milione di persone già censite come sfollati dalle agenzie umanitarie ma resta tuttavia il problema politico delle cause di questa nuova guerra e dei problemi lasciati irrisolti, nonostante le elezioni e i tanti accordi non rispettati firmati dalle parti in causa. A subire questa tragedia sottolineano – resta la popolazione inerme, stremata da una lunghissima guerra che ha fatto oltre quattro milioni di vittime. Le difficoltà e le sfide sul campo sono tanti (tra cui la costruzione di uno stato di diritto nella Repubblica Democratica del Congo e la difficoltà di mettere insieme in un unico esercito gruppi armati che per anni si sono combattuti tra loro) eppure, precisano, nonostante questi problemi irrisolti e la grande delusione dopo le elezioni, la gran parte della popolazione ha ancora la volontà di costruire una convivenza pacifica, uscendo definitivamente dalla guerra. Per dare voce alla politica si consiglia di partire da alcuni punti fermi: organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza; Partire dagli accordi firmati tra le parti; ribadire il mandato, unificando le regole di ingaggio dei contingenti delle Nazioni Unite presenti nel Kivu, perché possano svolgere il compito che è loro assegnato, cioè quello di far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio; creare un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname affinché si arrivi ad accordi legali e trasparenti e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze.Tra le proposte contenute nell’appello di missionari e organizzazioni: arrivare ad accordi stabili per evitare sconfinamenti da parte dei Paesi confinanti; risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l’intera comunità; ripristinare l’embargo delle armi per i Paesi della Regione, primi fra tutti la Repubblica Democratica del Congo, il Rwanda e l’Uganda; sostenere gli sforzi della società civile organizzata. Facciamo appello all’Italia concludono -, che è membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché svolga un ruolo attivo in quella sede e in Europa affinché vengano rispettati i diritti delle persone, sviluppata la democrazia, fermata ogni aggressione armata e finalmente perseguita la pace.Sir