Opinioni & Commenti
Quirinale: una scelta che deve unire
I parlamentari italiani sono chiamati a celebrare uno dei momenti più alti della vita democratica e repubblicana: l’elezione del Capo dello Stato, cioè il presidente di tutti noi. Sì, perché il Presidente della Repubblica è chiamato a «rappresentare l’unità nazionale».
Proprio in questa attribuzione, oltre che nei molteplici compiti affidatigli dalla Costituzione all’articolo 87, è concentrata tutta la difficoltà del ruolo, così come la responsabilità dei grandi elettori nell’eleggerlo. Per sette lunghissimi anni l’uomo o la donna che salirà al Colle più alto di Roma, dovrà quasi incarnare l’unità nazionale, preservarla da ogni tentazione separatista, testimoniarla e farsene paziente maestro, salvaguardarla da ogni forma di slabbratura istituzionale e se possibile trasmetterla alle forze politiche e alle diverse formazioni sociali. Insomma, stando accanto al popolo e senza mai tradirne i valori naturali e le aspirazioni più profonde, dovrà aiutarlo a scoprire rivalutare e inverare le mille buone ragioni del vivere insieme.
Tutto questo è chiaro ai 1009 grandi elettori del Presidente della Repubblica, in rappresentanza dei partiti e movimenti presenti nei due rami del Parlamento oltre che dei delegati regionali? La risposta non è facile perché le tappe di avvicinamento all’elezione del 13esimo Presidente della Repubblica hanno riproposto un mix di antico e di nuovo. Certamente è antico il vezzo di schermirsi da parte dei potenziali candidati, tutti preoccupati dal rischio di bruciarsi. Così come è antica la pratica della fumisteria messa in atto dalle principali forze politiche per ritardare all’ultimo secondo l’indicazione del nome giusto. Ma questa volta abbiamo assistito a qualcosa di nuovo. Innanzitutto l’autocandidatura di Silvio Berlusconi avallata dai suoi alleati storici. Ma soprattutto la rivendicazione, da parte di un centrodestra forte della maggioranza relativa dei voti parlamentari, di indicare il candidato alla massima carica istituzionale.
Queste due novità hanno segnato e condizionato tutto il dibattito pubblico e le fasi di avvicinamento al voto. Innanzitutto per la figura di Berlusconi, il fondatore del bipolarismo all’italiana ma anche il protagonista di tante disavventure giudiziarie e comunicative. Con l’aggiunta dei dubbi sollevati da una spinta proporzionalista del sistema politico. Non è un caso, infatti, che fra le condizioni del patto sottoscritto dalle forze del centrodestra vi sia l’impegno a non varare una legge elettorale proporzionale. È come una scommessa sul domani. Con Berlusconi sul Colle il bipolarismo potrebbe continuare a vivere, altrimenti… liberi tutti e ognuno per sé. In questa prospettiva vanno lette anche le mosse del centrosinistra e dei cinquestelle. Tutti consapevoli dell’eccezionalità delle circostanze in cui si procede al voto per il Colle.
Prima fra tutte, la necessità di salvaguardare il governo di unità nazionale (tranne Fratelli d’Italia) al fine di garantire la piena attuazione del Pnrr con i relativi finanziamenti europei. E in subordine l’aspirazione, condivisa da tutti, di garantire una conclusione normale della legislatura e quindi di non ricorrere al voto anticipato. Qui entra in campo la figura di Mario Draghi, il suo ruolo di garante e mediatore nel governo di «quasi tutti», ma anche la sua dichiarata disponibilità a servire le istituzioni. Disponibilità di fatto acquisita dal Pd di Enrico Letta. Ci si avvicina dunque al voto per il Colle, salvo sommovimenti o scarti al momento imprevedibili, con un «candidato ufficiale» del centrodestra (Silvio Berlusconi), con un «non candidato» di tanti ma non di tutti (Mario Draghi) e con un «candidato ombra» (se volete il «piano B» evocato dal leader della Lega, Salvini) di cui conosceremo nome e fisionomia solo dopo la caduta delle prime due ipotesi. Verosimilmente dal quarto voto in poi, quando cioè sarà sufficiente la maggioranza assoluta per eleggere il presidente. Sarà forse questo il momento di maggiore tensione e nel quale potrebbero nascere mediazioni virtuose (legate alle diverse e auspicabili sensibilità istituzionali) o compromessi indicibili (determinati soprattutto dai variegati interessi dei grandi elettori senza partito che hanno gonfiato a dismisura il gruppo Misto). Naturalmente l’augurio è che il Parlamento decida presto, al massimo entro le cinque prime votazioni. E che la scelta si confermi, ancora una volta saggia. E che ricada su una donna o su un uomo baciati da quello speciale «stato di grazia» insito nel ruolo di Presidente della Repubblica. Quello che ha consentito all’Italia, di avere Capi dello Stato autenticamente rappresentanti dell’unità nazionale. Che poi questa sia la prima volta nel nuovo secolo di un conservatore, dopo i lontanissimi precedenti dei liberali De Nicola ed Einaudi e dei democristiani come Gronchi e Segni, pensiamo che non debba spaventare nessuno. Sempre che funzioni quello speciale e laicissimo «stato di grazia» che ha vegliato per tanti anni sul Quirinale. No avventure… grazie.