Opinioni & Commenti
Quello che non si dice sulla legge elettorale
Nei commenti alla decisione della Corte costituzionale sull’Italicum ci si è prevalentemente concentrati sulla parte relativa al premio di maggioranza e alle conseguenze dell’eliminazione del ballottaggio. Ciò è del tutto comprensibile, e tuttavia vi è un altro aspetto della sentenza che non è di minore importanza sul versante della rappresentanza politica e della possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti: mi riferisco alle modalità con cui verranno scelti i futuri parlamentari.
Come è noto, la Corte, oltre ad aver eliminato il ballottaggio e aver dichiarato incostituzionale la disposizione che consente al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione, ha tuttavia «salvato» il meccanismo del capolista, nonché la possibilità di ciascuno di essi di candidarsi in più collegi. Il «combinato disposto» (ormai questa espressione è diventata nota a tutti con il referendum costituzionale!) di tali previsioni fa sì che, alla Camera dei deputati, e qualora alle prossime elezioni si vada a votare con il sistema in essere, gli elettori potranno esprimere una preferenza, ma che tale preferenza è destinata a produrre effetti soltanto in casi assai limitati.
Proviamo a spiegare perché. Sulla base dell’Italicum, alla Camera i collegi elettorali saranno cento. In ciascuno di questi saranno presenti le varie liste predisposte dai partiti, ed ogni elettore potrà votare una lista e, all’interno di essa, esprimere la propria preferenza per uno dei candidati: tuttavia se una lista prenderà un seggio, questo sarà assegnato automaticamente al capolista (e quindi le preferenze saranno inutili), mentre se alla liste saranno assegnati due o più seggi quelli ulteriori al primo saranno assegnati secondo il numero delle preferenze ottenute. Quindi, per essere ancora più chiari, soltanto i secondi seggi (e quelli ulteriori) assegnati alla lista saranno scelti dagli elettori: i primi verranno scelti dai partiti che confezionano la lista.
In sostanza, quanti saranno gli uni e gli altri? Possiamo fare qualche calcolo, basato ovviamente su ipotesi e approssimazioni. Secondo un sondaggio pubblicato nei giorni scorsi, se si andasse a votare oggi nessuna lista otterrebbe il premio di maggioranza (340 seggi se si arriva al 40% dei voti) e due soli partiti avrebbero più di 100 seggi: il Pd 195 e i 5 Stelle 196. Gli altri starebbero sotto 100 (FI 80, Lega 80 e così via). Con un ragionamento un po’ a spanna (ma non troppo lontano dal vero), è facilmente immaginabile che quei seggi vengano dai vari partiti raccolti in pressoché tutti i collegi (forse potrebbe fare eccezione la Lega, più territorializzata): così che se ad esempio il Pd raccogliesse almeno un seggio in ciascun collegio, ciò significherebbe che 100 deputati sono eletti senza preferenza, e 95 sì.
Se ciò valesse anche per gli altri, si potrebbe avere l’effetto di circa 200 deputati eletti con le preferenze e tutti gli altri (430) scelti dai partiti. Ovviamente i numeri possono un po’ cambiare, ma questa potrebbe essere la tendenza. Nella remota ipotesi in cui una lista ottenesse il premio, invece, almeno 240 dei suoi deputati sarebbero eletti con le preferenze, ma in tutte le altre liste verosimilmente entrerebbero soltanto i capilista: quindi il conto totale non cambierebbe di molto.
Il risultato complessivo sarebbe assai grave, per due ragioni almeno.
In primo luogo perché con la preferenza si dà l’illusione all’elettore di scegliere, ma alla prova dei fatti questi dovrebbe prendere atto che la sua scelta non ha prodotto alcun effetto. E questa conseguenza mi pare addirittura peggiore della previsione di non riconoscere la possibilità di esprimere preferenze: almeno in quest’ultimo caso la prospettiva è chiara da subito, mentre nella seconda si crea un’illusione, poi vanificata dalla realtà.
In secondo luogo, quanto detto vale per la Camera ma non per il Senato, dove il sistema dei capilista bloccati non è previsto e perciò le preferenze avranno pieno effetto. E ciò, se da un lato induce a ritenere che tutti i big vorranno andare alla Camera (come capilista, ovviamente!) e non al Senato, rende ancora di più disomogeneo il sistema elettorale, potendo provocare un ulteriore disorientamento negli elettori. Cosa di cui, mi pare, vi sia assai poco bisogno: specie di questi tempi.